Hassan è morto ieri nell’ospedale di Belcolle, a Viterbo. Vi era arrivato una settimana fa, in coma, dopo che si era impiccato in una cella della sezione di isolamento del carcere cittadino. Hassan è il terzo detenuto che perde la vita nel carcere viterbese dall’inizio dell’anno, il secondo a seguito di un tentativo di suicidio compiuto in isolamento.
Hassan aveva 21 anni e sarebbe uscito dal carcere per fine pena il 9 settembre prossimo. Lunedì scorso è stato condotto nella sezione di isolamento per scontare una sanzione disciplinare per un fatto risalente al marzo scorso. Appena arrivato in sezione, tempo due ore e Hassan si è impiccato. Ne ho avuto notizia immediatamente dopo, quando il dirigente della medicina penitenziaria viterbese mi ha telefonato dall’ospedale, informandomi del fatto, anche perché il direttore del carcere ricordava che di Hassan il mio ufficio si era occupato e certamente volevo saperne.
In effetti, il 21 marzo scorso, una delegazione del mio ufficio aveva incontrato Hassan, all’indomani del fatto per cui solo quattro mesi dopo sarebbe stato sottoposto alla sanzione disciplinare dell’isolamento. In quell’occasione, Hassan riferiva di essere stato picchiato il giorno precedente da alcuni agenti di polizia che gli avrebbero provocato lesioni in tutto il corpo e probabilmente gli avrebbero provocato anche la lesione del timpano dell’orecchio sinistro, da cui sentiva il rumore “come di un fischio”. Mentre raccontava la sua versione dei fatti, Hassan velocemente si spogliava, così da mostrare i segni sul corpo e la delegazione effettivamente poteva vedere molti segni rossi su entrambe le gambe e dei tagli sul petto. Alla fine dell’incontro, Hassan chiedeva aiuto, dicendo di avere paura di morire.
Informato dell’incontro, avvisavo immediatamente la Provveditrice dell’Amministrazione penitenziaria, chiedendole di verificare se non fosse il caso di trasferire Hassan e il suo compagno di detenzione in un altro istituto della regione, per rassicurarlo sulle sue condizioni di detenzione. Qualche giorno dopo la Provveditrice mi informava che Hassan era rimasto a Viterbo, che la colluttazione con i poliziotti sarebbe avvenuta a seguito della resistenza opposta da Hassan e dal suo compagno di stanza a una perquisizione della loro camera da cui avrebbero svolto un traffico di psicofarmaci verso il piano di sotto.
Nelle settimane e nei mesi seguenti, Hassan e il suo compagno di stanza ci avevano in altre occasioni informato di stare bene e che non avevano più subito aggressioni. Al contrario, altri detenuti lamentavano di essere stati vittime di abusi, in specie nella sezione di isolamento, e tra questi uno confermava di essere stato testimone dell’aggressione denunciata da Hassan.
Raccolte queste informazioni, dopo essere stato personalmente in istituto il 29 maggio e dopo aver avuto occasione di incontrare alcuni detenuti della sezione di isolamento e lo stesso direttore del carcere, il 5 giugno scorso ne ho scritto alla Procura della Repubblica di Viterbo, perché accertasse lo svolgimento dei fatti e le eventuali responsabilità. Poi, improvvisamente, il 23 luglio, quella telefonata dall’ospedale ….
Di fronte a un caso di suicidio, evito sempre di cadere nella tentazione di attribuire responsabilità su chi non avrebbe previsto o su chi non avrebbe vigilato. Il suicidio è innanzitutto una tragica scelta personale, imprevedibile quante altre mai. Resta l’amaro in bocca di un ragazzo di ventun’anni che in carcere aveva paura di morire e che ha deciso di impiccarsi dopo essere stato portato in isolamento, nonostante gli mancasse poco più di un mese alla libertà.