“Chiederò alla Asl la immediata convocazione del tavolo tecnico sulla sanità penitenziaria per la valutazione del caso e l’aggiornamento del piano di prevenzione del rischio suicidario, ma è evidente che se non diminuiscono le presenze e se non si incentivano le attività trattamentali e il sostegno alle persone detenute, soprattutto ai più fragili, non ci sarà prevenzione che tenga”. Così il Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Lazio, Stefano Anastasìa, alla notizia della morte di un detenuto d’origine indiana, 36enne, rinvenuto, domenica 11 febbraio, suicida per impiccagione nel bagno della sua cella del reparto precauzionale della Casa Circondariale di Latina.
“L’ennesimo suicidio in carcere dall’inizio dell’anno -prosegue Anastasìa -, il primo in regione, è di un uomo, non italiano, in attesa di giudizio, accusato di reati sessuali, detenuto a Latina. In queste prime e scarne informazioni ci sono già importanti elementi per una riflessione: si trattava di una persona in attesa di giudizio, accusato di un reato fortemente stigmatizzante in carcere e fuori, straniero e quindi probabilmente con minore assistenza legale e sostegno familiare, detenuto in una delle carceri più sovraffollate della regione (155% di presenti sui posti effettivamente disponibili al 31 gennaio, a fronte del 140% regionale e del 127% nazionale)”.
L’ufficio del Garante precisa che dovrebbe trattarsi del primo caso di suicidio nel Lazio nel 2024, quindi il sedicesimo in Italia, in quanto il detenuto del carcere di Rieti, morto in ospedale a Viterbo dopo un lungo sciopero della fame, durante la degenza aveva ripreso ad alimentarsi e non aveva mai manifestato alcun intento suicidario.