Il decreto giustizia in materia penitenziaria così non va. Punto per punto, vi spiego perché

Le osservazioni del Garante Anastasìa al decreto-legge 92 illustrate in audizione al Senato l'11 luglio 2024

Osservazioni al decreto-legge 4 luglio 2024, n. 92, recante misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della giustizia, presentate in audizione presso la Commissione Giustizia del Senato della Repubblica in data 11.7.2024.

Come ho già avuto modo di osservare altrove (l’Unità, 5.7.2024), il decreto-legge di cui si tratta è innanzitutto insufficiente rispetto ai requisiti di necessità e urgenza che pur ne motivano l’adozione. Era ed è indubbio che fosse necessario un intervento legislativo in via d’urgenza in materia penitenziaria. In un anno, dal 30.6.2023 al 30.6.2024, la popolazione detenuta è cresciuta di circa 4mila unità (per la precisione di 3.955 detenuti, dai 57.525 del 30.6.2023 ai 61.480 in pari data del 2024), portando a un tasso di affollamento del 120% sulla capienza regolamentare e del 129,3% sulla capienza regolamentare effettivamente disponibile (al netto delle sezioni e delle stanze in manutenzione ordinaria e/o straordinaria). Non avevamo un pari numero di detenuti dal gennaio 2014, all’indomani della sentenza-pilota della Corte europea dei diritti umani nel caso Torregiani e altri contro Italia, quando l’Italia fu messa sotto monitoraggio da parte del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa. Ma nel 2014 la tendenza era di segno inverso (in decrescita già dal 2010, per effetto della dichiarazione dello stato di emergenza dichiarata dal Governo Berlusconi V e dell’adozione della misura della detenzione domiciliare speciale) e alla fine dell’anno si contarono 43 suicidi, quanti quest’anno se ne sono registrati in un po’ meno di sei mesi. Sovraffollamento e sucidi, queste le ragioni di urgenza per intervenire con decreto-legge sul carcere, ragioni minimamente toccate dal testo all’esame della Commissione giustizia del Senato:

  • L’incremento straordinario del personale di polizia, sempre e comunque insufficiente, avverrà non prima (e auspicabilmente non dopo) due anni, tra il 2025 e il 2026 (art. 1);
  • L’elenco delle strutture accreditate all’accoglienza e al reinserimento sociale dei detenuti (art. 8) “che non sono in possesso di un domicilio idoneo e sono in condizioni socio-economiche non sufficienti per provvedere al proprio sostentamento” (comma 2), in vero non necessitante un intervento legislativo (durante l’emergenza pandemica non sono mancate esperienze di accoglienza promosse dalle Regioni e dalla Direzione generale per l’esecuzione penale esterna, d’intesa con la Cassa delle Ammende), non vedrà la luce prima di un anno dall’approvazione della legge di conversione del presente decreto, considerato che il decreto ministeriale che dovrà definire i requisiti di iscrizione all’albo delle strutture sarà adottato entro il termine di sei mesi dall’approvazione della legge di conversione (marzo 2025), cui poi seguiranno i termini per l’iscrizione da parte degli enti interessati e solo dopo potranno avvenire i primi affidamenti, se la magistratura competente lo riterrà opportuno;
  • La nuova procedura per il riconoscimento cumulativo dei periodi di liberazione anticipata maturati dai detenuti non incide sul quantum di pena da scontare, e dunque sulle presenze in carcere qui e ora.

Unica misura con un effetto immediato, non già sul sovraffollamento, ma sulla qualità della vita in carcere è il riconoscimento al direttore dell’istituto della facoltà di autorizzare telefonate in deroga all’attuale limite regolamentare, nelle more di una sua modifica che comunque non andrà oltre le sei al mese, una/una e mezza in più rispetto a quelle attualmente garantite. Ben poca cosa, in vero, a confronto degli usi comunicativi della società contemporanea e alla libertà di corrispondenza riconosciuta dalla Costituzione e dallo stesso ordinamento penitenziario al 90-95% dei detenuti (tutti coloro che non sono al 41bis e che per ragioni processuali non hanno il controllo o il divieto di corrispondenza con talune persone). Quando si diceva “una telefonata allunga la vita” non si intendeva proprio una e soltanto una.

Riconosciuto quel che si può riconoscere al decreto-legge governativo, mi permetto di richiamare l’attenzione degli onorevoli componenti della Commissione Giustizia del Senato sui rischi che la nuova procedura per il riconoscimento della liberazione anticipata porta con sé che, sia detto subito, formalizza una cattiva prassi degli uffici di sorveglianza (certamente spesso motivata dal sovraccarico di lavoro dei singoli magistrati, ma non certo encomiabile): quella di decidere più semestri di liberazione anticipata a distanza di anni, affidandosi esclusivamente alla trasmissione di documentazione cartacea, spesso da più istituti, con i conseguenti inevitabili ritardi dovuti alla raccolta di informazioni disperse tra diversi istituti sparsi sul territorio nazionale.

La formalizzazione di questa procedura, non solo azzera legalmente le “buone prassi”, di quei magistrati e di quegli uffici che – al contrario – riescono a riconoscere i semestri di liberazione anticipata periodicamente, stimolando la gratificazione dei detenuti che si vedono progressivamente ridurre la propria aspettativa di pena in virtù della loro partecipazione all’opera rieducativa, ma mette nel nulla la facoltà di reclamo pure ribadita dal nuovo art. 69bis OP, che dovrà esercitarsi davanti a un Tribunale ignaro quanto il singolo magistrato di quello che fu contestato all’interessato due, tre, cinque, dieci, venti anni prima in un carcere dall’altra parte della Penisola, con presumibile incapacità di acquisire ulteriori informazioni riguardanti la fondatezza delle contestazioni.

Per quanto sia auspicabile non solo garantire il turn over, ma soprattutto coprire l’organico del personale di polizia penitenziaria, sbagliata è la possibilità della riduzione fino a soli quattro mesi della formazione iniziale degli allievi agenti, prevista dall’art. 4: c’è una evidente contraddizione tra la giusta invocazione di una maggiore formazione del personale di polizia ogni qual volta emerga una forma di misconduct da parte di un singolo o di un gruppo di operatori e prevedere per legge la facoltà di ridurre per legge a soli quattro mesi la formazione iniziale precedente l’assunzione delle funzioni.

Meramente propagandistica appare l’esclusione dai programmi di giustizia riparativa dei detenuti nel regime speciale di cui all’art. 41bis, II comma, OP, posto che appare assai improbabile che questa eventualità di appalesi e che, al contrario, se dovesse palesarsi, andrebbe colta come un passo del detenuto fuori dal vincolo criminale con l’organizzazione di appartenenza, che è l’auspicio dell’istituzione nei confronti di tutti gli appartenenti alle organizzazioni criminali e, massimamente nei confronti di coloro che hanno tali responsabilità in esse da essere sottoposti al regime speciale.

Tutto ciò detto, una parola su ciò che sarebbe stato necessario. Posto che non è la decretazione d’urgenza il mezzo legislativo attraverso cui condividere quello che sarebbe effettivamente necessario (un provvedimento di amnistia-indulto nel limite dei due anni che azzererebbe nell’immediatezza il sovraffollamento penitenziario, consentendo all’Amministrazione penitenziaria di promuovere misure di attuazione dell’art. 27, comma 3 della Costituzione nei confronti della generalità dei detenuti condannati a pene più lunghe), tutto ciò che serviva era la previsione di una liberazione anticipata speciale, la più ampia possibile nei giorni di ulteriore sconto di pena e nel tempo di applicazione, anche retroattivo; una misura capace di ridurre ulteriormente di almeno sei mesi, un anno, la pena dei detenuti disponibili all’offerta rieducativa, liberando spazi e risorse umane nella difficile gestione degli istituti penitenziari. L’auspicio, condiviso non solo da parte di molte colleghe e colleghi garanti dei detenuti, ma anche da parte di molti operatori penitenziari, della giustizia e della sanità, è che nell’esame parlamentare di questo decreto questa minima possibilità sia presa in considerazione e contribuisca a ridurre lo stato di tensione e di disperazione che si vive oggi nelle carceri italiane.

(11.07.2024)