Il Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Lazio, Stefano Anastasìa, è intervenuto alla presentazione del libro “Non chiamatelo raptus” di Anarkikka, durante un evento che si è svolto nel teatro della Casa di Reclusione di Rebibbia, nell’ambito del festival “Ora è qui. La quarta dimensione della cultura”. L’iniziativa è stata organizzata dalle associazioni Fuori Contesto e Dire Fare Cambiare Aps, ed è stata pensata per sensibilizzare sulla violenza di genere in un’istituzione tipicamente maschile, come ha voluto rimarcare Anastasìa.
“Soprattutto gli uomini devono imparare a relazionarsi con le persone dell’altro sesso che incontrano lungo la loro vita, a partire dalle proprie mogli, figlie, sorelle, colleghe e compagne di strada”“, ha affermato Anastasìa, sottolineando che un evento del genere, nella giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, “è non solo necessario, ma benedetto, per una discussione seria, che sarebbe bello evolvesse in una pratica di autocoscienza maschile, proprio qui, in una casa di reclusione per soli uomini”.
Alla presentazione hanno partecipato anche la direttrice dell’istituto Maria Donata Iannantuono, la consigliera regionale Marta Bonafoni, che ha ricordato la sua esperienza come relatrice della legge regionale contro la violenza di genere, che proprio quest’anno compie dieci anni, la Garante di Roma Capitale, Valentina Calderone, e le rappresentanti delle due associazioni organizzatrici, Giulia Morello (Dire Fare Cambiare) ed Emilia Martinelli (Fuori Contesto). Non è mancata, naturalmente, l’autrice Stefania Spanò, in arte Anarkikka, “vignettista femminista e IllustrAutrice”, come si definisce nel suo profilo Facebook. Durante l’incontro, alcuni detenuti sono intervenuti nel dibattito.
“Non chiamatelo Raptus” (Edizioni People, prefazione di Vera Gheno) affronta il tema della violenza di genere, con un focus particolare sul ruolo del linguaggio. Anarkikka, con un’ironia amara, sottolinea nelle sue pagine: “Abbiamo smesso di evolverci: siamo all’homoraptus”, suggerendo quanto le parole possano essere potenti nell’influenzare la cultura e nel rinforzare stereotipi di genere distorti.
Il libro evoca con parole e disegni situazioni di uomini che uccidono donne, di uomini incapaci di affrontare i propri fallimenti. Ogni femminicidio non è solo una tragedia per la vittima e la sua famiglia, ma una sconfitta per la società e lo Stato. Il cambiamento, secondo Anarkikka, parte dall’educazione: insegnare il rispetto e una sana affettività fin dalla giovane età è fondamentale per prevenire la violenza. Il suo messaggio è chiaro: un linguaggio rispettoso e consapevole è essenziale per educare al rispetto e alla sana affettività.