Alcuni anni addietro il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (al tempo il magistrato Santi Consolo, oggi Garante dei detenuti della Sicilia) diramò una “lettera circolare”, avente a oggetto le “Ridenominazioni corrette di talune figure professionali e altro in ambito penitenziario”. «In ogni comunità – esordiva il capo del DAP – il linguaggio svolge un ruolo fondamentale», ma poi – sul punto di aprirsi a una dissertazione di sociolinguistica – tagliava corto, arrivando subito al punto: «soprattutto per il carcere», perché «le Regole penitenziarie europee prevedono che la vita all’interno del carcere deve essere il più possibile simile a quella esterna e questa “assimilazione” deve comprendere anche il lessico». Invece, proseguiva l’alto magistrato,
i termini attualmente utilizzati nelle carceri riferiti ai detenuti sono spesso avulsi da quelli comunemente adottati dalla collettività [e questo] è causa di una progressiva e deprecabile infantilizzazione, di un isolamento del detenuto dal mondo esterno che crea ulteriori difficoltà per il possibile reinserimento.
I lavori degli Stati generali dell’esecuzione penale, voluti dall’allora Ministro della giustizia Andrea Orlando, avevano evidenziato l’uso di «una scorretta terminologia» nel gergo corrente all’interno degli istituti di pena, proponendo l’eliminazione dei termini «infantilizzanti». Seguiva, quindi, quella circolare normolinguistica, indirizzata alla ridenominazione di alcune espressioni di uso comune in carcere: la cella diventava camera di pernottamento, il compagno di socialità del detenuto isolato in 41bis smetteva di essere una dama di compagnia, l’addetto alle pulizie finiva di essere chiamato scopino, il portavitto diventava un addetto alla distribuzione dei pasti, i piantoni erano assistenti alla persona, in attesa di riqualificarsi come care givers, i generici lavoranti entravano finalmente nella gloriosa schiera dei lavoratori, ma soprattutto la domandina all’autorità, veicolo di accesso a qualsiasi cosa materiale o immateriale non nelle immediate disponibilità della persona reclusa, assurgeva alla definizione – tanto grigia, quanto burocraticamente ineccepibile – di modulo di richiesta. (…) L’articolo prosegue nel sito dell’enciclopedia Treccani.
Con questo contributo è stato aperto lo speciale del sito treccani.it dedicato al “Carcere. Parole e storie”.