Dopo il corso di formazione per volontari operanti negli istituti di pena, tenutosi in doppia modalità (in presenza e online) nei mesi di dicembre e gennaio, è ripreso per la seconda volta con le persone detenute nella casa circondariale di Viterbo il progetto Rose che sprigionano, attività artigianali per l’integrazione sociale attuato dal Centro Studi Santa Rosa (finanziato lo scorso anno dalla Regione Lazio con Dgr 829/2020).
Questa volta l’attività interessa nove detenuti dell’Alta sicurezza ai quali quattro suore novizie e cinque volontari dell’associazione che impartiscono gli antichi saperi sulle lavorazioni artigianali tessili che possano garantire un accesso al mondo del lavoro, partendo dalle conoscenze e dalle pratiche che si svolgevano all’interno delle mura della clausura monastica. Proprio in tali luoghi, infatti, si realizzavano fiori di stoffa e reliquiari con tecniche che utilizzavano materiali di tipo diverso (carta, stoffa, legno, ecc.), di cui rimangono nel monastero di Santa Rosa di Viterbo numerose attestazioni tra manufatti e materie prime che consentono di comprendere le metodologie di produzione adottate.
L’attenzione del laboratorio che si propone è focalizzata alla realizzazione di rose di stoffa. Esse potranno essere prodotte all’interno del carcere, utilizzando le tecniche antiche, per poi essere inserite nel circuito della produzione di oggetti devozionali legati al culto di santa Rosa, della finitura di abiti di sartoria e di complementi d’arredo. La rosa evoca la Santa viterbese, ma è anche simbolo di bellezza, cioè del motore che attiva quei processi che stimolano le qualità dell’essere umano che si gratifica attraverso il lavoro.
Il laboratorio ha come scopo quello di arricchire la formazione personale del detenuto attraverso percorsi esperienziali con valenza socioculturale; ma anche quello di favorire la libera espressione del detenuto, coinvolgendolo in un’attività di studio e ricerca.