Numero doppio e nuova veste grafica per il notiziario Non Tutti Sanno, realizzato dai ”ristretti” della casa di reclusione di Rebibbia. In 36 pagine la “realtà del carcere” viene raccontata direttamente dai “reclusi”. Sono affrontati i temi di attualità come l’efficacia del 41 bis o l’ergastolo ostativo, il dramma dei suicidi e le ragioni che possono portare a compiere un gesto così estremo. Ma anche le opportunità di possibile riscatto possibili durante la carcerazione, malgrado il dramma del “soprannumero” e la cronica carenza di personale, grazie all’attività di volontari.
Niente è più vero ed efficace del racconto diretto di chi vive la condizione “ristretta” per rendersi conto della realtà detentiva e per misurarsi con la domanda decisiva per misurare l‘efficacia della pena: quanto rispetta il diritto alla vita e la dignità della persona detenuta? Consente al condannato di sperare nel futuro e di reinserirsi nella società? Lo prescrive la Costituzione, ma troppo spesso la realtà è altra cosa. Lo ricorda nel suo editoriale il giornalista Roberto Monteforte: non si investe sulle carceri, su reali percorsi di recupero dei reclusi attraverso la cultura, la formazione e il lavoro. Cambiano i governi, ma la realtà penitenziaria resta sempre penalizzata. Si rincorrono le emergenze e si resta prigionieri dell’immobilismo anche quando basterebbe poco per migliorare la situazione, ad esempio dare seguito – osserva il giornalista – alle proposte “tecniche” di ammodernamento dell’ordinamento penitenziario che, con molto buon senso e pragmatismo, sono state indicate dalla Commissione Ruotolo costituita dall’allora ministra Cartabia. Cambiando il ministro si ricomincia daccapo. Come in un infinito gioco dell’oca si torna sempre alla casella iniziale che vede, alla fine, un solo vero soccombente: la popolazione penitenziaria. Non solo i detenuti, ma anche gli operatori e il personale penitenziario. La drammatica cartina di tornasole di questo disagio lo danno i suicidi di detenuti, oltre 34 dall’inizio dell’anno, senza considerare le morti sospette e anche gli agenti della polizia penitenziaria che si sono tolti la vita.
Fa parte di questo ragionamento l’altro tema affrontato dal notiziario, quello del diritto alla salute e alla cura per la popolazione reclusa. Interessante, ricco di spunti e proposte è il resoconto dell’incontro organizzato dalla redazione di Non Tutti Sanno tra il dirigente sanitario della Asl Roma 2 dottor Antonio Chiacchio, il responsabile del settore psichiatrico penitenziario di Rebibbia dottor Alberto Sbardella, con la allora direttrice della casa di reclusione, la dottoressa Antonella Rasola, con il garante dei detenuti per la regione Lazio, professor Stefano Anastasìa e gli stessi detenuti. Sono state confermate le emergenze già note per la popolazione “ristretta”: gli interminabili tempi di attesa per le visite specialistiche e per gli esami diagnostici, condizionati anche dalle limitate disponibilità del personale di scorta. Quindi la drammatica situazione dei detenuti più fragili, con problemi psichici reclusi anche al penale di Rebibbia e dei percorsi di cura tentati, ben consapevoli tutti che il loro percorso di cura dovrebbe essere altrove. Lascia riflettere la notizia che non mancano solo mezzi, risorse e personale, ma che vanno deserti i concorsi per assumere in pianta stabile medici e specialisti. L’impegno nelle carceri è considerato troppo pericoloso, scomodo e poco remunerato dai medici. L’esigenza di una risposta delle istituzioni pubbliche, a partire dalla regione Lazio, per valorizzare queste attività è stata richiamata dal garante regionale dei detenuti, Stefano Anastasìa.
Ma non tutto è nero nei penitenziari. Ci sono progetti, iniziative di socialità e iniziative culturali alla CR di Rebibbia che, però, non sarebbero possibili senza l’impegno degli educatori e dei volontari. Lo sottolineano nei loro interventi Ornella Favero, presidente dell’Associazione nazionale dei volontari nelle carceri italiane, e la religiosa suor Emma Zordan che da oltre nove anni conduce un laboratorio di scrittura creativa al penale di Rebibbia. In questo numero si può trovare l’esperienza del laboratorio teatrale dell’Accademia Stap del teatro Brancaccio, che ha realizzato con i detenuti lo spettacolo “La nostra Odissea”, che viene raccontata con passione dalle registe ma anche da un attore “ristretto”.
Tra le pagine si troverà un réportage su cosa si produce nelle carceri italiane realizzato grazie al “passa parola” dei penitenziari.
Vi è, però, un contributo che aiuta a capire la durezza della vita “ristretta”. Si racconta un episodio apparentemente minore: la condizione di un detenuto per un permesso premio dato per “sicuro” che avrebbe consentito di passare il Natale famiglia che non arriva. Che salta senza ragione. Così, solo per problemi burocratici una persona anziana “ristretta” non potrà abbracciare parenti e nipoti che con gioia lo aspettano. Sembra cosa da poco, ma rappresenta una ferita alla dignità della persona ed anche una sofferenza inferta ai suoi cari. Perché il tempo recluso è tempo di attesa. Ma quando saltano appuntamenti con la vita come questo si smarrisce la speranza e si sente come vanificato l’impegno ad essere migliori. E’ bene tenerne conto.