Se le condizioni metereologiche con il gran caldo di queste settimane provocano diffusi e preoccupanti disagi per l’intera popolazione del nostro Paese, la situazione rasenta i limiti della sopportabilità umana negli istituti penitenziari che presentano condizioni di sovraffollamento. Inoltre, bisogna considerare che i tassi di affollamento calcolati in base alla “capienza regolamentare” (1) dei singoli istituti già comunque superiori al 100% in due strutture su tre nel nostro Paese, non sono sufficienti da soli a rendere conto con precisione della situazione effettivamente presente.
Innanzitutto, non si può prescindere dal fatto che, alla data del 30 giugno, secondo i dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), sono oltre 3.600 i posti complessivamente non disponibili negli istituti penitenziari a causa di degrado, lavori di ristrutturazione e riammodernamento in corso, esigenze di sicurezza, igienico sanitarie o logistiche. Come facciamo da anni su questo sito, i tassi di affollamento andrebbero calcolanti conseguentemente e con più attinenza alla realtà in base al numero effettivo di posti disponibili e in tal caso il dato medio nazionale passa dal 112% al 121%.
In secondo luogo, e senza dover per forza scomodare Trilussa, il valore medio non costituisce e non rappresenta una verifica puntuale dell’intensità e della diffusione delle situazioni di più grave degrado e disagio presenti nel nostro Paese.
Infatti, laddove si analizzano con maggiore approfondimento e articolazione le singole situazioni emerge che in poco meno della metà degli istituti penitenziari i tassi di affollamento effettivi superano il 125% e sono ben 32 quelli in cui i valori superano il 150%. In particolare, ve ne sono alcuni, come San Vittore a Milano, Foggia, Busto Arsizio (2), Monbello di Brescia , Como, Bari, Pesaro e Verziano di Brescia dove centinaia di persone sono stipate in strutture che presentano tassi di affollamento superiori al 170%.
Questa situazione non solo costituisce un grave fenomeno ormai consolidato e diventato strutturale ma – come già considerato nei mesi scorsi a proposito del costante incremento dei numeri dei detenuti presenti che si sta verificando ormai da quasi un anno – presenta di nuovo le stesse condizioni che hanno determinato la condanna del nostro Paese da parte della Cedu nel 2013 e che, ricordiamolo, è stato obbligato a mettere in atto le dovute misure per il ripristino di condizioni minime di vivibilità e a corrispondere il risarcimento dei danni subìti alle persone che a tale corte si sono rivolte affinché venissero loro riconosciuti i propri diritti.
[1] che viene definita dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sulla base del criterio di 9 mq per singolo detenuto + 5 mq per gli altri [2] già noto per la sentenza Torregiani