(DIRE) Roma, 16 dic. – A novembre i detenuti nelle strutture del Lazio sono cresciuti a 6.802, il 5,2% in più rispetto ai 6.465 dell’anno precedente. Il tasso di affollamento, quindi, ha raggiunto il 149%. In questo contesto, il 26 dicembre Papa Francesco aprirà la Porta Santa del Giubileo a Rebibbia. Per il Garante per i diritti dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasìa, questo gesto “infonde fiducia e speranza tra le persone detenute: la fiducia che una parte larga della popolazione italiana, assai più ampia della comunità cattolica, non smette di sentirli come fratelli e sorelle con eguali diritti e dignità, nonostante i casi della vita li abbiano portati in carcere; la speranza che questo segno di attenzione della Chiesa e del Papa, corredato da un’esplicita esortazione ai Governi ad assumere ‘forme di amnistia e condono della pena’, abbia seguito anche qui in Italia, dove – come è del tutto evidente – ce ne è un assoluto e urgente bisogno, per restituire dignità alle condizioni di vita e di lavoro dei detenuti e degli operatori penitenziari”.
Il sovraffollamento del carcere Regina Coeli è pari al 191,3%, un record. Come si arriva a questa cifra e come si può ridurre? Cosa servirebbe per migliorare la condizione carceraria e farla tornare così alla sua funzione originaria?
“Regina Coeli è uno dei grandi portali di ingresso al sistema penitenziario italiano, insieme alle altre ‘case d’arrestò delle grandi città italiane: di qua entra in carcere l’80% delle persone detenute, per poi essere distribuite nelle altre carceri. Quando si arriva, come oggi, al ‘tutto esaurito’, le case d’arresto scoppiano, non potendo più trasferire negli altri istituti i detenuti in eccesso. Intanto, e nonostante il Giubileo, che porterà a Roma milioni di pellegrini, bisogna raccomandare alle forze di polizia e all’autorità giudiziaria di esercitare con misura il ricorso alla detenzione, sia in fase cautelare che esecutiva. Poi, certo, servirebbero provvedimenti di carattere generale, che non riguardano solo Regina Coeli, ma l’intero sistema penitenziario, a partire da un provvedimento di amnistia e indulto di due anni, che consenta di azzerare il sovraffollamento facendo uscire dal carcere i detenuti a fine pena o condannati per reati minori; dall’adozione del numero chiuso penitenziario, che impedisca il ritorno del sovraffollamento, affidando all’autorità giudiziaria la valutazione della stretta necessità e delle priorità nella carcerazione; infine investendo nei servizi sociali territoriali, in modo che la marginalità sociale non sia destinata a finire in carcere perché priva di ogni misura di sostegno in libertà. In questo modo, e solo in questo modo, il carcere potrebbe riuscire a svolgere la sua funzione rieducativa per i condannati per gravi reati”.
Come è composta la popolazione carceraria nel Lazio? Quali sono oggi le persone detenute e in quali condizioni tornano libere?
“Nel Lazio abbiamo una incidenza più alta che nel territorio nazionale di persone in attesa di giudizio, sia di primo grado che appellanti o ricorrenti in Cassazione, ma una percentuale inferiore alla media nazionale di persone di cittadinanza non italiana. E’ questo l’effetto della fragilità di una rete di prevenzione e protezione sociale che espone non solo gli stranieri a una criminalità di sussistenza. La fragilità di questa rete fa sì che in carcere ci vadano prevalentemente persone che non hanno risorse relazionali, economiche, culturali che gli consentono di accedere alle alternative alla detenzione, e questa discriminazione si riproduce all’interno del carcere, per cui sono sempre meno le persone che riescono ad accedervi dal carcere. Il risultato è l’alto tasso di recidiva che si registra tra le persone che scontano la loro pena integralmente in carcere”.
I detenuti in attesa di giudizio sono 2.181 corrispondenti al 32,5% vale a dire sette punti in più rispetto alla media nazionale del 25,5%. Un numero enorme. Come si può incidere su questo aspetto?
“Anche questo non è un problema che si può risolvere con qualche modifica alle norme sulla custodia cautelare, anche se possono essere condivisibili. Nei grandi numeri (e il 32,5% di detenuti in attesa di giudizio sono grandi numeri) conta soprattutto la “detenzione sociale”: le persone costrette in carcere perché prive di un domicilio, che si teme di non riuscire a portare a processo oppure che possono reiterare reati di sussistenza. La giustizia penale non è un’isola: senza giustizia sociale i suoi problemi non verranno mai risolti”.
Quante sono le donne detenute? E le mamme? Qual è la loro situazione attualmente?
“Tradizionalmente, non solo in Italia, le donne sono una esigua minoranza nella popolazione detenuta: al 30 novembre, in Italia, 2.737 a fronte di 59.690 uomini, il 3%. Nel Lazio sono di più, ma solo perché a Roma, a Rebibbia, c’è il più grande carcere femminile d’Europa, con quasi 400 detenute. Il carcere è una istituzione maschile, fatta e pensata per gli uomini, in cui spesso le donne sono costrette a subire la loro scarsa rilevanza quantitativa attraverso una minore offerta di opportunità culturali, scolastiche, sportive o lavorative. Un problema nel problema è quello delle detenute che convivono in carcere con i figli neonati o poco più. Sono anni che si cerca di affrontare questo problema, garantendo il duplice diritto dei bambini e delle bambine a crescere con le proprie madri e a farlo fuori dagli istituti penitenziari. A Roma abbiamo una esperienza pilota, quello della Casa famiglia protetta dedicata a Leda Colombini, ma in carcere in Italia ci sono ancora quindici donne con diciassette bambini, due dei quali a Rebibbia. Si può fare di più e arrivare allo storico obiettivo di non avere più alcun bambino in carcere, ma bisogna innanzitutto modificare il ddl sicurezza governativo che amplia la possibilità di incarcerazione delle condannate incinte o con neonati con meno di un anno di età. Al di là dei suoi effetti pratici, che speriamo possano essere nulli, il rischio è innanzitutto culturale, di rilegittimazione tra gli operatori della giustizia della detenzione di madri e bambini”.
* Intervista di Emanuele Nuccitelli, agenzia Dire, lanci del 16/12/2024, ore 12,01, “CARCERI. APPELLO GARANTE DETENUTI LAZIO: AMNISTIA E INDULTO PER SVUOTARLE”.