“Caro dottore, cara dottoressa, ci rivolgiamo a lei e ai suoi colleghi e colleghe con questo appello perché è proprio di voi che abbiamo assoluto bisogno. La nostra vita è nelle vostre mani. Non stiamo esagerando. Siamo cittadini che hanno sbagliato e che per questo stanno scontando la loro condanna in una casa di reclusione, ma non per questo abbiamo perso il diritto alla salute e alla dignità di persona”. Inizia così la lettera appello della redazione di “Non tutti sanno”, il notiziario della Casa di Rebibbia, indirizzata a medici e istituzioni sanitarie, per chiedere una maggiore assistenza a favore della popolazione detenuta.
“Sappiamo -prosegue la lettera indirizzata in primis al presidente dell’Ordine nazionale dei medici, Filippo Anelli – delle gravi difficoltà del Sistema Sanitario Nazionale per la mancanza di risorse e di mezzi, ma per noi non ci sono alternative alla sanità pubblica. Siamo tra i suoi principali ‘utenti’. Senza di voi, senza la vostra competenza, professionalità e generoso impegno nelle carceri, infatti, il nostro diritto costituzionale alla ‘cura’ resta vuoto”.
“In carcere ci si ammala tanto e curarsi è sempre più difficile – spiega il giornalista Roberto Monteforte, direttore del notiziario -, malgrado l’encomiabile impegno dei medici presenti negli istituti. Ma sono sempre meno. La crisi della sanità pubblica e la mancanza di risorse, infatti, colpiscono in modo diretto e pesante i livelli di assistenza sanitaria, le condizioni di vita e di lavoro dei medici, ma anche quelli della popolazione detenuta che già oggi sconta la carenza di assistenza sanitaria, la difficoltà ad usufruire in tempi efficaci di esami clinici e prestazioni specialistiche anche per i limiti posti dalla detenzione e dal sovraffollamento delle carceri. L’effetto è che per noi il diritto alla salute e alla cura è messo in discussione. Lo sarà ancora di più se, come abbiamo constatato, risultano sempre meno i medici che decidono di prestare la loro attività nelle carceri”.
Di qui l’invito ai medici, contenuto nella lettera-appello, “venite in carcere, curateci, fate in modo che i giovani medici vi affianchino a fare tirocinio”, e quello alle istituzioni: “sia consentito al medico o specialista di prolungare la sua attività professionale nel carcere anche se in pensione e a chi opera nelle strutture pubbliche di poter dedicare del tempo ulteriore anche al servizio della popolazione reclusa”.
“Sono necessari più ore e più specialisti – si legge ancora nella lettera-appello -, per seguire chi ha patologie psichiatriche. Più risorse destinate alla sanità penitenziaria e alle attività di cura. Luoghi adeguati sul territorio per accogliere chi soffre di patologie psichiatriche o di dipendenza che non possono essere affrontate nei penitenziari”.
Appello ai medici e al personale sanitario della redazione di Non Tutti Sanno