“Rendere la giustizia efficiente è un obiettivo imposto anzitutto dal principio costituzionale del giusto processo e della ragionevole durata del processo. La Costituzione richiede che il processo sia giusto e sia breve. Obiettivo altissimo della Costituzione che devono ispirare tutte le istituzioni”. Lo ha detto la ministra Marta Cartabia, durante l’audizione in commissione Giustizia alla Camera sulle linee programmatiche del ministero e sulla proposta di Piano nazionale di ripresa e di resilienza.
“C’è la necessità – ha sottolineato la guardasigilli – di operare riforme che permettano di riportare il processo italiano a un modello di efficienza e competitività, riducendo i tempi di istruzione del processo, così da consentire anche una rinnovata fiducia dei cittadini e una ripresa degli investimenti, dato lo stretto nesso tra funzionamento della giustizia ed economia”. Le riforme, ha proseguito Cartabia, “devono davvero essere in grado di operare una riduzione dei tempi della giustizia che oggi continuano a realizzare medie” di durata “del tutto inadeguate, questo e’ l’obiettivo primario in materia di giustizia” in modo che ci sia solo “un obiettivo programmatico” ma “una tutela giurisdizionale effettiva per tutti”.
Valorizzare le pene alternative al carcere
Per la ministra Cartabia è necessario orientarsi “verso il superamento dell’idea del carcere come unica effettiva risposta al reato. La ‘certezza della pena’ non è la ‘certezza del carcere’, che per gli effetti desocializzanti che comporta deve essere invocato quale extrema ratio”.
“Occorre valorizzare piuttosto le alternative al carcere, già quali pene principali – ha sottolineato Cartabia – Un impegno che intendo assumere è di intraprendere ogni azione utile per restituire effettività alle pene pecuniarie, che in larga parte oggi, quando vengono inflitte, non sono eseguite. In prospettiva di riforma sarà opportuno dedicare una riflessione anche alle misure sospensive e di probation, nonché alle pene sostitutive delle pene detentive brevi, che pure scontano ampi margini di ineffettività, con l’eccezione del lavoro di pubblica utilità”.
“Non posso non osservare – ha aggiunto – che il tempo è ormai maturo per sviluppare e mettere a sistema le esperienze di giustizia riparativa, già presenti nell’ordinamento in forma sperimentale che stanno mostrando esiti fecondi per la capacità di farsi carico delle conseguenze negative prodotte dal fatto di reato, nell’intento di promuovere la rigenerazione dei legami a partire dalle lacerazioni sociali e relazionali che l’illecito ha originato. In considerazione dell’importanza delle esperienze già maturate nel nostro ordinamento, occorrere intraprendere una attività di riforma volta a rendere i programmi di giustizia riparativa accessibili in ogni stato e grado del procedimento penale, sin dalla fase di cognizione”.
Il nodo della prescrizione
La ministra ha poi affrontato il nodo dei termini di prescrizione. “Nei primissimi giorni dell’insediamento di questo governo – ha detto a tale proposito -, a fronte della encomiabile disponibilità di alcuni gruppi ad accantonare gli emendamenti da loro presentati in materia di prescrizione per non esacerbare il dibattito, la Camera ha approvato un ordine del giorno che impegna il Governo ‘ad adottare le necessarie iniziative di modifica normativa e le opportune misure organizzative volte a migliorare l’efficacia e l’efficienza della giustizia penale, in modo da assicurare la capacità dello Stato di accertare fatti e responsabilità penali in tempi ragionevoli, assicurando al procedimento penale una durata media in linea con quella europea, nel pieno rispetto della Costituzione, dei principi del giusto processo, dei diritti fondamentali della persona e della funzione rieducativa della pena. Questo impegno deve essere onorato”.
“I tempi di definizione dei giudizi penali – ha aggiunto -, al pari se non più di quelli civili, sono oggetto delle preoccupazioni delle istituzioni europee le quali hanno a più riprese osservato che le statistiche giudiziarie evidenziano una durata del procedimento penale in Italia di molto superiore alla media europea”. Del resto, ha concluso, “anche un ampio e vivace dibattito interno si è sviluppato intorno ai tempi della giustizia penale, mostrando come una eccessiva durata del processo rechi pregiudizio, ad un tempo, sia alle garanzie delle persone coinvolte – indagato, imputato e vittima/persona offesa – sia all’interesse dell’ordinamento all’accertamento e alla persecuzione dei reati”.
Nel corso dell’audizione, la ministra ha richiamato anche la necessità di tutti “gli sforzi tesi ad assicurare una più compiuta attuazione della Direttiva (Ue 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali”.
“A proposito soprattutto della presunzione di innocenza – ha sottolineato la guardasigilli – permettetemi di sottolineare la necessità che l’avvio delle indagini sia sempre condotto con il dovuto riserbo, lontano dagli strumenti mediatici per una effettiva tutela della presunzione di non colpevolezza, uno dei cardini del nostro sistema costituzionale”.
Anche nel campo della giustizia civile, la ministra ha sottolineato le grandi opportunità derivanti dalle soluzioni negoziali. “Queste si renderanno tanto più necessarie – ha dichiarato la ministra – nel contesto attuale in cui gli effetti economici della pandemia stanno determinando grandi squilibri: la giustizia preventiva e consensuale rappresenterà una strada necessaria per la possibile esplosione del contenzioso, quando cesseranno gli effetti dei provvedimenti che bloccano sfratti e licenziamenti. Occorre prepararsi per tempo”.
Cartabia si è detta favorevole a misure alternative di risoluzione delle controversie, come mediazione, negoziazione e conciliazione: “strumenti dotati di un grande potenziale, in particolare nel nostro ordinamento. E’ un dato di esperienza consolidata che le forme alternative di risoluzione producano effetti virtuosi sull’amministrazione della giustizia. Tutt’altro che alternative, queste forme rivestono un ruolo di complementarietà e di coesistenza”. Secondo Cartabia, “è tempo di ripensare il rapporto tra processo davanti al giudice e strumenti di mediazione, offrendo anche la giudice la possibilità di incoraggiare misure alternative, attraverso misure premiali”.