L’intervento del Garante Anastasìa è nel libro che raccoglie gli atti del convegno svoltosi nel Carcere di Cassino lo scorso 20 gennaio.
“Essenza, legittimità e utilità della pena fino alla morte” è il titolo dell’intervento di Stefano Anastasìa nel libro contenente gli atti del convegno “Verso il superamento dell’ergasolo ostativo?”, co-promosso dal Garante dei detenuti del Lazio, che si è svolto lo scorso 20 gennaio nel carcere di Cassino. Il libro, a cura dell’avvocato Sarah Grieco e dal gip Salvatore Scalera, è entrato a far parte della collana scientifica dell’università di Cassino e del Lazio meridionale, è disponibile in formato eltettronico ed è scaricabile gratuitamente dal sito dell’università di Cassino.
Anastasìa affronta il tema della detenzione a vita senza alcun beneficio per buona condotta, sullo sfondo delle decisioni della Corte europea per i diritti umani e della Corte costituzionale. Con sentenza n.253 del 2019, la Consulta ha deciso l’illegittimità di quella norma dell’ordinamento penitenziario che stabilisce la preclusione all’accesso alle misure alternative alla detenzione e ai benefici penitenziari dei condannati per fatti di criminalità organizzata e per altri gravi delitti. “C’è la domanda radicale – esordisce Anastasìa – se sia legittimo il ‘carcere a vita’, come si dice edulcorando la verità del suo contrario, e cioè se sia legittimo punire, privare della libertà, tenere in carcere una persona fino alla morte”. Intendendo per pena capitale anche l’ergastolo, Anastasìa non ha dubbi: “Contro qualsiasi opinione diffusa, noi diciamo che la pena di morte non è mai legittima”.
“Il principio di dignità umana – prosegue Anastasìa – implica che un essere umano (anche l’autore del più efferato reato, anche nella contingenza più grave) non possa essere messo a morte. Fin qui la cultura giuridica europea non tentenna. Ma questa argomentazione regge anche contro l’altra pena capitale, la pena fino alla morte, la pena dell’ergastolo? Sì, io credo, e questo voglio argomentare, riprendendo la traccia di una riflessione abbozzata intorno al Principe dell’Illuminismo giuridico italiano, Cesare Beccaria, alla sua contestazione della pena di morte e alla preferenza da lui accordata alla pena dell’ergastolo, capace di ridurre per tutta la vita il condannato a «bestia da servigio», esempio e monito contro chi ne volesse ripetere le gesta . Come è evidente, proprio da questa vivida immagine fornita da Beccaria del perenne tormento dell’ergastolo, l’esecuzione delle pene capitali, della pena di morte come dell’ergastolo, persegue esclusivamente fini estranei al condannato (quali possono essere quelli della sicurezza della comunità che si avrebbe attraverso la sua morte fisica o civile o attraverso l’esempio che essa darebbe nei confronti del prossimo) e dunque illegittimi secondo il paradigma della dignità universale che regge le democrazie costituzionali contemporanee e l’ordinamento giuridico internazionale”.
E sull’efficacia dell’ergastolo ostativo nel contrasto alla mafia, scrive Anastasìa: “qualcuno davvero crede che le organizzazioni criminali si battano attraverso l’eliminazione dal consesso civile di coloro che ne hanno fatto parte? Davvero qualcuno pensa che la mafia possa essere sconfitta dagli annidi carcere e dalsimulacro diqualche capomafia che muore in galera? Dunque è solo questo la mafia? Un esercito di malfattori e criminali da reprimere militarmente? Non è un potere, talvolta antagonista e talvolta colluso a quelli pubblici e privati, che produce economia, società e cultura, da tempo non più solo nel Mezzogiorno d’Italia? E il contrasto a questo potere autoritario e paternalista non dovrebbe essere proprio quel progetto costituzionale di integrazione e sviluppo sociale fondato sui diritti di tutti e in modo particolare dei più deboli e derelitti, quelli che spesso finiscono per fare le braccia e la carne da macello delle organizzazioni criminali? Non è in quest’altro modo che si contrasta il condizionamento e il consenso della criminalità organizzata in interi territori e dentro il sistema economico, gli apparati e le funzioni pubbliche?”.
“Nessuna di queste domande – conclude Anastasìa – evidentemente retoriche, intende mettere in discussione la necessità di un intervento penale, dissuasivo e punitivo, dei grandi e gravi delitti commessi dalle organizzazioni criminali, ma – come ci ricordava all’indomani della sentenza della Corte europea dei diritti umani Emanuele Macaluso – credere che la mafia si sconfigga così, con la bandiera della repressione e l’esibizione dei condannati a vita, è un immiserimento di una lunga storia di mobilitazione civile che ha segnato tanta parte del Mezzogiorno d’Italia, dalla occupazione delle terre al riscatto dei beni illeciti, su cui spero che il movimento antimafia voglia cominciare a interrogarsi”.