Ha suscitato un comprensibile sconcerto il post con cui Paola Perinetto, Garante dei diritti delle persone private della libertà del comune di Ivrea, ha paragonato il Presidente del Consiglio Mario Draghi a Cesare Battisti, condannato in esecuzione penale per reati gravi contro la persona. Anzi, a onor del vero, il paragone serviva alla collega addirittura per additare nel Presidente del Consiglio – tra i due – il vero criminale. Parole evidentemente offensive nei confronti del Presidente del Consiglio, della persona e della carica, che trascendono la libertà di manifestazione del pensiero e che chi riveste un incarico istituzionale non può e non deve pronunciare. Il tutto nasce dalle convinte posizioni no-vax e no-green pass di Perinetto, i cui ingressi in carcere aveva recentemente sospeso in ragione del suo rifiuto di produrre il green pass (ma, assicura il Garante regionale Bruno Mellano, con l’impegno a continuare a distanza i contatti con i detenuti del carcere eporediese).
Il Garante nazionale, venuto a sapere della cosa (del post su facebook, non delle legittime quanto discutibili posizioni di Perinetto, che erano note e risolte come si è detto), ha sollecitato il sindaco alla rimozione dalla carica della garante che – evidentemente, con il suo comportamento – aveva contravvenuto alla prescrizione secondo cui “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore” (art. 54 Cost.). Il sindaco, dal canto suo, ha messo all’ordine del giorno del primo consiglio comunale utile la revoca dell’incarico a Paola Perinetto.
Il caso avrebbe potuto chiudersi qui, peraltro con una rara prova di concordia e di efficienza istituzionale che, grazie al regolamento comunale istitutivo del Garante, ne consente la revoca per “gravi inosservanze dei doveri discendenti dal proprio ufficio”.
L’incidente, della cui gravità non si discute, è però diventata l’occasione per nuove prese di posizione sui Garanti comunali delle persone private della libertà e il loro incerto statuto normativo. Prese di posizione che già in passato hanno causato la esclusione della facoltà di colloquio dei garanti comunali con i detenuti sottoposti in regime di 41bis e che, di fatto, hanno contribuito a impedire la sottoscrizione di un protocollo d’intesa tra la Conferenza dei garanti territoriali delle persone private della libertà, che rappresenta tutti i garanti nominati dalle Regioni, dalle Province, dalle Aree metropolitane e dai Comuni, e le articolazioni del Ministero della giustizia che si occupano di esecuzione penale detentiva, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e il Dipartimento dell’Esecuzione penale esterna e della giustizia minorile.
Dietro queste prese di posizione ci sono, come spesso accade, buone e cattive intenzioni: le buone intenzioni di chi ritiene che i garanti comunali vadano rafforzati nel loro status e quelle cattive di chi non gradisce l’attività dei garanti delle persone private della libertà, a partire proprio dai garanti comunali, così prossimi, così presenti e, forse, in qualche caso, così fastidiosi a una gestione burocratica e chiusa degli istituiti penitenziari, fatta e coperta al riparo delle mura di cinta. Alle cattive intenzioni si può rispondere non solo formalmente, richiamando l’articolo 27 della Costituzione e le sue prescrizioni, ma anche raccontando le innumerevoli occasioni – frequenti anche durante la pandemia e i suoi momenti più duri – in cui i garanti, e quelli comunali innanzitutto, sono stati essenziali al buon funzionamento degli istituti penitenziari, non solo nell’interesse dei detenuti e delle detenute, ma anche in quello del personale che si sacrifica oltre il dovuto per fare bene il proprio mestiere. Le buone intenzioni, invece, meritano di essere condivise e specificate, se non altro per distinguerle dalla pelosa solidarietà delle cattive.
Nonostante una prestigiosa storia (sono stati garanti comunali personalità come Luigi Manconi e Gianfranco Spadaccia, lo sono l’ex-presidente del tribunale di sorveglianza di Bologna Franco Maisto e l’ex-sottosegretario alla giustizia Franco Corleone), effettivamente i garanti comunali vivono di un incerto statuto normativo e soprattutto di uno status inadeguato alle funzioni che esercitano. Requisiti e modalità di nomina, durata e strumenti per l’esercizio delle proprie funzioni sono non solo molto diversi tra loro, ma spesso anche inadeguati. Non è il caso di Ivrea, dove il Garante è nominato dal Consiglio comunale, a seguito di un bando pubblico, “fra persone di indiscusso prestigio e di comprovata esperienza che abbiano ricoperto incarichi istituzionali di responsabilità e di rilievo nel campo delle scienze giuridiche, dei diritti umani, ovvero delle attività sociali negli istituiti di prevenzione e pena e negli uffici di esecuzione penale esterna, o che si siano comunque distinte in attività di impegno sociale” (art. 2 del regolamento, approvato con delibera n. 88/2012 dal Consiglio comunale). Il mandato è quinquennale e indipendente da quello del Consiglio che lo elegge. Non sempre è così, ma il caso di Ivrea dimostra che i requisiti di indipendenza e di professionalità richiesti dal Garante nazionale a margine della sua censura del comportamento di Paola Perinetto non solo possono essere disciplinati dalla normativa locale, ma in qualche caso effettivamente lo sono. Del resto la stessa revoca dimostra che il sistema ha i suoi anticorpi, anche nei casi più gravi. Se proprio si vuole trovare una mancanza nel regolamento comunale con cui è stata istituita la figura del garante a Ivrea, bisognerà piuttosto guardare alle risorse umane, finanziarie e strumentali con cui esercita le sue funzioni (una sede, un generico supporto e 300 euro l’anno di rimborso spese).
Come Conferenza dei garanti territoriali, su iniziativa di un gruppo di garanti comunali coordinato dalla collega di Torino, Monica Gallo, abbiamo promosso un’indagine sugli atti istitutivi e le prassi dei garanti comunali e abbiamo avanzato all’Anci delle proposte per qualificarne e rafforzarne lo status. Così, forse, un grave incidente può essere rovesciato in un’ottima occasione per rafforzare il sistema di garanzie delle persone private della libertà a partire da quel terminale sensibile costituito dalla rete dei garanti comunali.
(Pubblicato su Il Riformista di martedì 26 ottobre 2021 con il seguente titolo: “Poche risorse, tanta incertezza/rafforziamo i garanti comunali)