Il Garante Anastasìa sui 50 anni dell’Ordinamento penitenziario

Carcere e Costituzione al centro del convegno del Coordinamento enti e associazioni di volontariato penitenziario- Seac

Il Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Lazio, Stefano Anastasìa, è intervenuto alla seconda sessione del convegno del Coordinamento enti e associazioni di volontariato penitenziario- Seac, dedicata ai 50 anni dell’Ordinamento penitenziario, che si è svolta venerdì 22 novembre, nella sala convegni dell’Istituto suore Maria Bambina a Roma.

Coordinata da Elisabetta Laganà del Seac Nazionale, alla seconda sessione del convegno, oltre al Garante Anastasìa sono intervenuti, tra gli altri, Francesco Cascini, pubblico ministero presso la Procura della Repubblica di Roma, Fabio Gianfilippi, il magistrato di sorveglianza di Terni che ha sollevato la questione che ha portato alla sentenza della Corte costituzionale sulla norma che impediva i colloqui riservati in carcere, e, da remoto, Francesco Maisto, ex presidente del tribunale di sorveglianza di Bologna e Garante dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà personale per il comune di Milano.

Anastasìa ha ricordato la legge 354 del 1975 sull’ordinamento penitenziario, rilevando, tra l’altro, che essa è arrivata tardi, con un disegno di costituzionalizzazione del sistema, quando i suoi presupposti di lì a poco sarebbero stati messi in discussione. “L’ordinamento penitenziario per come è stato disegnato – ha rimarcato Anastasìa – è basato su un’idea universalistica della dignità umana: tutte le persone hanno dignità e diritti, anche le persone che hanno commesso i reati più gravi. Invece, a partire dagli anni ’70 negli Stati Uniti e a partire dagli anni ’90 in Italia si afferma un’idea prima individualistica e poi meritocratica della dignità, che in qualche modo bisogna meritarsi, legata al modo e alla capacità di saper stare nella società”.

“La riforma penitenziaria – ha proseguito Anastasìa – alla luce della Costituzione, immaginava il carcere come un presidio dello Stato sociale, con cui sostenere e recuperare persone indotte al reato dallo svantaggio sociale, economico e culturale. Quando invece il discorso cambia, e la dignità diventa meritocratica, è ovvio che sono i primi a perdere dignità sono quelli per i quali legalmente è stato certificato che non se lo meritano. E’ questa – ha concluso a tale proposito Anastasìa – la tensione che viviamo tuttora e vediamo esplicitarsi in proposte e pratiche incostituzionali”.

Un momento del convegno. Da sinistra: Anastasìa, Cascini, Laganà, Gianfilippi.