Giovedì 15 giugno il collegio del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale ha illustrato la sua Relazione annuale al Parlamento, nella sala Regina della Camera dei deputati, alla presenza della presidente della Corte costituzionale, Silvana Sciarra. La settima relazione al Parlamento del collegio composto da Daniela de Robert, Emila Rossi e da Mauro Palma che ne è il presidente è stata salutata da un messaggio del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. “Rivolgo – questo l’inizio del messaggio – il più cordiale saluto a Lei, Signor Presidente, ai componenti dell’Autorità Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale e a tutti i partecipanti alla presentazione della Relazione. La sapiente attività sviluppata dal Garante il cui impegno è stato connotato da una visione puntuale dei vari aspetti che caratterizzano le diverse forme di privazione della libertà, è testimoniata dall’ampia e approfondita relazione che viene oggi divulgata”.
Le persone detenute in carcere al primo giugno sono 57.230. Si tratta di circa 2.500 in più rispetto a sette anni fa. La popolazione carceraria include 2.504 donne. Erano 2.285 sette anni fa quando ha preso il via il mandato del Garante dei detenuti. La capienza delle carceri, secondo Palma “già allora carente, è aumentata nell’arco dei sette anni soltanto di mille posti regolamentari”.
“Due dati – ha spiegato poi Palma durante la relazione nella sala della Regina della Camera– indicano mutamenti: la percentuale delle persone straniere in carcere è diminuita dal 34 al 31,2 per cento; particolarmente diminuita – e questo è un dato positivo – è la percentuale di coloro che sono in carcere senza alcuna condanna definitiva, passando dal 35,2 al 26,1 percento nel corso di questi anni”.
“Resta alto – ed è andato aumentando – il numero di persone ristrette in carcere per scontare condanne molto brevi: 1.551 persone sono oggi in carcere per scontare una pena – non un residuo di pena – inferiore a un anno, altre 2.785 una pena tra uno e due anni. È evidente che una struttura complessa quale è quella carceraria non è in grado di predisporre per loro alcun progetto di rieducazione perché il tempo stesso di conoscenza e valutazione iniziale supera a volte la durata della detenzione prevista. Non solo, ma questi brevi segmenti di tempo recluso sono destinati a ripetersi in una sorta di serialità che vede alternarsi periodi di libertà e periodi di detenzione con un complessivo inasprimento della propria marginalità”.
747 persone detenute al 41-bis, di cui 12 donne
“E’ tempo di aprire un chiaro confronto sul regime speciale: sulla sua funzione necessaria per l’interruzione di connessioni, collegamenti e ordini tra le varie organizzazioni criminali, ma anche sulle sue regole, sulla sua attuale estensione numerica, sulla durata troppo spesso illimitata, che si perpetua non di rado fino all’ultimo giorno di detenzione in caso di pene temporanee”. Così Palma in riferimento al 41-bis che riguarda 747 persone detenute, di cui 12 donne.
“Ricordiamo poi – prosegue il Garante – che il comma 2 di quell’articolo 41-bis è stato una misura aggiuntiva introdotta per affrontare uno specifico problema e per affrontarlo in un’ottica di progressivo superamento del problema stesso. Altrimenti diventerebbe dirimente l’aporia di una situazione stabile di specialità che modifica concretamente la configurazione dell’esecuzione penale e incide sulla possibilità di ‘tendere alla rieducazione del condannato’ e che sia invece adottata con provvedimento amministrativo e solo successivamente posta al vaglio giurisdizionale. Una incursione politica che incide sull’effettività di un principio costituzionale, pur oggetto nella sua formulazione in sede Costituente di lunga analisi e discussione”.
“Servono risorse e investimenti in termini di recupero edilizio di strutture esistenti”
“L’ordinamento attuale – ha proseguito Palma – presenta varie possibilità di accesso a misure diverse dalla detenzione per pene brevi: il non accesso a esse è indicativo di una complessiva povertà. Povertà di supporto sociale, di assistenza legale, spesso di comprensione delle norme stesse; povertà anche materiale perché frequentemente l’assenza di una abitazione o la sua inadeguatezza sono alla base della riluttanza a concedere queste misure a persone che si presentano con tali caratteristiche”.
La presenza in carcere di chi deve scontare una condanna al di sotto di tre anni “interroga il nostro tessuto sociale: sono vite connotate da una marginalità che avrebbe dovuto trovare altre risposte, così da diminuire l’esposizione al rischio di commettere reati – sottolinea il Garante – Non dobbiamo mai dimenticare che il diritto penale – e ancor più la privazione della libertà – deve avere un ruolo ‘sussidiario’, intervenendo come misura estrema laddove altre forme di supporto e riduzione dei conflitti e delle difficoltà che abitano la collettività abbiano fallito. Sono vite che avrebbero dovuto trovare altri supporti nell’istruzione, nel sostegno abitativo, nella possibilità di un reddito in grado di rendere la giustamente proclamata tutela della vita una effettiva tutela della vita dignitosa e non meramente biologica; lo avrebbero dovuto trovare anche nell’intervento di orientamento alla prima deviazione verso forme di criminalità”.
“Penso – aggiunge – sia ormai il tempo di agire per togliere al carcere ciò che non è possibile che rientri nella sua capacità di azione. Per tali fragilità e conseguenti reati di minore rilevanza che determinano pene molto basse, occorre prevedere strutture diverse con un legame molto più denso con il territorio, in cui il controllo e il graduale reinserimento possano dialogare. Servono risorse e investimenti in termini di recupero edilizio di strutture esistenti”.
“I dati relativi ai minori e ai giovani adulti che hanno mantenuto un complessivo equilibrio nei sette anni: quelli ristretti negli Istituti penali per minorenni sono, alla stessa data, 390, altri 3.802 sono in messa alla prova e complessivamente il servizio minorile ha in carico 14.473 minori o giovani adulti – erano 14.212 quando relazionai al Parlamento la prima volta. Un rapporto che lascia alla detenzione in carcere una dimensione realmente residuale”. Così il Garante Palma nella sua Relazione annuale al Parlamento.
Rivolte e denunce di gravi episodi di maltrattamento
Lungo sette anni del mandato del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, segnati anche dalla pandemia, si sono verificate rivolte e “denunce di gravi episodi di maltrattamento e di offesa della dignità delle persone ristrette rispetto ai quali la Magistratura sta portando avanti il proprio compito e che in taluni casi hanno portato anche all’accertamento di primo grado e alle relative sentenze. Sono momenti dolorosi che, come più volte sottolineato da questa Autorità di garanzia, non devono gettare un’ombra complessiva sull’operato di chi con diverse funzioni assolve al compito di amministrazione della sanzione con ordine, sicurezza e con la tutela dei diritti di tutti gli attori”.
“Se, come è doveroso, si deve trarre insegnamento anche da tali episodi e dalle immagini che hanno giustamente colpito la collettività dobbiamo guardare alla capacità del nostro sistema ordinamentale di reagire, anche in molti casi con l’ausilio delle indagini sviluppate dall’interno della stessa Amministrazione penitenziaria. E altresì guardare alla possibilità offerta dalla nuova fattispecie penale introdotta nel 2017 nel nostro codice”, il reato di tortura. Una previsione normativa, già oggetto “di faticosa mediazione” che sta dimostrando la “positività della scelta allora fatta dal Parlamento e sta facendo emergere, per distinzione, come tale previsione tuteli nei fatti la dignità professionale della quasi totalità di coloro che agiscono con professionalità e dedizione, rispetto all’accertamento delle situazioni dove invece la logica dell’arbitrio è divenuta prevalente. Una norma da difendere proprio sotto questo profilo”.
A seguito poi dei fatti di Santa Maria Capua Vetere, classificati come ”perquisizione straordinaria”, il Garante nazionale ha formulato tre raccomandazioni al ministro della Giustizia tra cui che siano identificabili gli strumenti di equipaggiamento indossati in situazione di particolare gravità in modo tale da permettere una completa indagine su eventuali comportamenti perseguibili penalmente.
Una raccomandazione non ancora accolta. “L’annunciata introduzione delle bodycam rappresenta certamente un buon passo in avanti, ma non è ancora sufficiente”, dice il Garante.
L‘art 27 della Costituzione e le proposte di modifica
“La Costituzione è il baluardo del nostro essere qui oggi – ha dichiarato Palma nella sua settima e ultima relazione del proprio mandato – ed è stata e continuerà a essere il baluardo dell’azione del Garante nazionale delle persone private della libertà personale negli anni che verranno e nell’azione di coloro che saranno chiamati ad assumere il ruolo che questo Collegio ha esercitato nei sette anni del proprio mandato. Perché la nostra Costituzione non indica soltanto il limite dell’esercizio del potere che lo Stato, nelle sue articolazioni, deve assolvere e neppure soltanto l’elenco dei diritti fondamentali riconosciuti e tutelati a ogni persona all’interno della comunità sociale, ma indica altresì il nostro compito – quello di ognuno di noi e di chi ha ruoli istituzionali in modo particolare – di rimuovere quegli ostacoli che limitano la possibilità di goderne a singoli e gruppi e che chiamano, quindi, tutti noi a una prospettiva d’impegno, per non lasciare nessuno indietro nel cammino collettivo”.
“Una Carta che dà in tal modo una indicazione positiva all’agire politico, che deve essere sempre rivolto all’evoluzione della cultura dei diritti, alla loro concreta effettività e, quindi, alla costruzione di una tessitura culturale in positivo divenire”, aggiunge Palma. “Un orientamento di evoluzione culturale che traduce il carattere vivo della Carta stessa – aggiunge – Una evoluzione volta all’estensione del riconoscimento di diritti individuali e sociali e mai verso cedimenti a paure per la loro ampiezza, presunte o indotte. Per questo il Garante nazionale non può esimersi dall’esprimere il proprio stupore e il proprio dissenso relativamente a qualche minoritaria proposta volta a diminuire quello slancio inclusivo proprio della Carta verso il tendenziale positivo reintegro sociale di ogni persona, anche di chi ha gravemente sbagliato”.
Le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems)
Sono 632 le persone internate nelle attuali 31 Residenze per l’esecuzione di misure di sicurezza (Rems); 675 persone in lista d’attesa e di esse 42 illegalmente recluse in carcere, senza titolo detentivo. Il 46,7% delle persone in Rems sono in misura di sicurezza provvisoria. E’ quanto emerge dalla relazione annuale del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale.
Il numero complessivo di persone dichiarate destinatarie di tale misura supera di molto il numero di quelle ospitate negli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) al momento della chiusura nel 2015 (698 allora contro le 632 attualmente in Rems + le 675 in lista d’attesa). Il dato appare ancora più macroscopico se si tiene conto che gli Opg ospitavano sia internati in misura di sicurezza, sia detenuti che avevano sviluppato una malattia mentale, sia detenuti in osservazione psichiatrica. Le Rems invece accolgono solo internati in misura di sicurezza.
“Difficile dire se questo aumento sia dovuto a una maggiore propensione a ricorrere a misure di sicurezza reclusive o a una effettiva sottovalutazione dell’aumento delle difficoltà e del disagio nella società contemporanea. Resta il fatto – sottolinea il Garante nazionale Mauro Palma – che il processo, anche culturale, di graduale responsabilità territoriale di tali difficoltà deve essere incoraggiato e incrementato”.
I Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) e gli hotspot
Sono 6.383 le persone che sono state recluse nei Centri di permanenza per il rimpatrio nel 2022. Di queste soltanto 3.154 sono state effettivamente rimpatriate: in Tunisia (2248), Albania (127), Egitto (318), Marocco (92). Ciò significa che il 50,6% delle persone ha avuto un trattenimento detentivo senza il perseguimento dello scopo per cui esso era legalmente previsto. Cpr attivi sono 9: Bari-Palese, Brindisi-Restinco, Caltanissetta-Pian del Lago, Gradisca d’Isonzo, Macomer, Palazzo San Gervasio, Roma-Ponte Galeria, Trapani-Milo, Milano (il Cpr di Torino è stato chiuso a marzo 2023). I giorni di permanenza media vanno dai 15,47 di Caltanissetta-Pian del Lago ai 72,74 di Macomer.
Sono 55.135 le persone (di cui 5.278 donne e 10.491 minori) transitate negli hotspot nel 2022. I giorni medi di permanenza delle persone adulte vanno dai 5 di Lampedusa, Pozzallo e Taranto ai 23 di Messina. Il Garante ricorda che tre tutele fondamentali devono essere assicurate alle persone ristrette in strutture di detenzione amministrativa, siano esse Cpr, hotspot, ‘locali idonei’: tutela giurisdizionale, laddove la libertà è privata, è la prima e fondamentale tutela e non può riguardare soltanto la convalida del trattenimento da parte dell’Autorità giudiziaria ma deve coprire anche la vigilanza sullo svolgersi di tale misura restrittiva; la tutela del diritto alla salute per ogni persona è esplicitamente definita fondamentale nella nostra Costituzione nell’articolo 32. La sua effettività risiede nel ruolo del Servizio sanitario nazionale, quale attore pubblico a cui tale compito è affidato dalla collettività. E la tutela della connessione relazionale che è proprietà di ogni persona e che determina la trasparenza dell’azione di trattenimento.
A parere del Garante nazionale molte delle azioni intraprese in questi anni e tuttora in corso continuano a non essere caratterizzate dalla necessaria visione prospettica, per la centralità attribuita ai rimpatri e alle forme di privazione della libertà in direzione del respingimento e dell’espulsione o al supporto a Paesi terzi per il contenimento delle partenze, anche laddove tale contenimento viene più volte documentato come ulteriore carico di afflizione nei confronti di persone che provengono già da ambiti di sofferenza. Il Garante nazionale guarda con attenzione al negoziato sul nuovo Patto per la migrazione e l’asilo, sottolineando “la positività della ricerca di risposte e linee di azione condivise, in particolare in relazione alla previsione di una quota obbligatoria di ricollocamenti e alle relative conseguenze economiche per chi non vi adempia. Resta invece preoccupato riguardo all’estensione generalizzata del trattenimento in frontiera in luoghi connotati da formale extraterritorialità e alla possibilità di trasferimento forzato delle persone migranti verso Paesi terzi di transito, indipendentemente dalla connessione della persona con quel territorio, considerati sicuri, anche se non vincolati dall’adesione alla Convenzione di Ginevra”. Il Garante nazionale è tuttavia certo “che di tali impegni verranno trovate formulazione e attuazione pienamente in linea con il nostro ordinamento costituzionale e distanti dalla tentazione di esternalizzazione delle nostre responsabilità di controllo e tutela”.