Non si faccia nessun passo indietro sul reato di tortura. La netta richiesta arriva dall’associazione Antigone, che martedì 30 maggio ha presentato il suo XIX rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia, intitolato non a caso “E’ vietata la tortura, e che riassume l’esito delle visite in un centinaio di carcere compiute nel 2022.
“La violenza esiste ancora. Sulla tortura si è riaperto un dibattito a soli sei anni dall’introduzione del reato. Ci batteremo perché questa legge non venga toccata, perché questo significa mandare a monte i processi” e far giungere “un messaggio culturale devastante” agli operatori di polizia, ha detto il presidente di Antigone Patrizio Gonnella. A preoccupare è soprattutto una proposta di legge presentata da Fratelli d’Italia, che propone l’abrogazione del reato, ma anche l’intenzione annunciata dal ministro Nordio di modificare il reato per renderlo più vicino alla nozione dell’Onu: “un argomento fazioso di cui non dobbiamo fidarci”, il commento di Antigone. Anche in questo caso “finirebbero in un nulla di fatto i processi in corso, prima di tutti quello di Santa Maria Capua Vetere con oltre 100 imputati”.
Attualmente sono dodici i procedimenti in corso in tutta Italia per presunte violenze di agenti della polizia penitenziaria nei quali Antigone è parte, più un tredicesimo che riguarda invece la morte di un detenuto nel carcere di Ariano Irpino che sarebbe avvenuta per suicidio ma “le cui circostanze necessitano di essere approfondite”.
In tutta Italia 9mila detenuti in più
Oltre 9 mila detenuti in più rispetto alla capienza effettiva delle carceri. Nel suo XIX rapporto sulla detenzione, l’associazione Antigone richiama l’attenzione sul sovraffollamento “crescente” dei penitenziari, il cui tasso medio effettivo è del 119%, il che significa che per circa il 20% dei detenuti vi è una sistemazione precaria. Un dato corretto al rialzo rispetto al tasso ufficiale (110,6%), che non tiene conto dei posti non effettivamente disponibili.
In cifre, a fronte di una capienza ufficiale di 51.249 posti, i presenti nelle nostre carceri al 30 aprile erano 56.674, il che equivale a 5.425 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare. Ai posti regolamentari vanno però sottratti quelli non disponibili, che attualmente sono pari a 3.646.
La maglia nera spetta alla Lombardia dove il sovraffollamento è pari al 151,8%, seguita dalla Puglia (145,7%) e dal Friuli Venezia Giulia (135,9%). Ma è l’intero Paese a sfigurare in Europa, dove solo Cipro e Romania hanno tassi di sovraffollamento maggiori di quello italiano.
A livello di istituti, il carcere più affollato è Tolmezzo (190,0%), seguito da Milano San Vittore (185,4%), da Varese (179,2%) e da Bergamo (178,8%).
I detenuti crescono circa 5 volte di più rispetto alla crescita dei posti. Dal 30 aprile 2022 la capienza ufficiale è cresciuta dello 0,8%, mentre le presenze sono cresciute del 3,8%. Sul sovraffollamento, nota il rapporto, pesa la custodia cautelare, che è pari al 26,6% del totale. E’ in calo rispetto al passato ma più alta rispetto alla media europea. Ma un ruolo lo giocano anche la quantità di pene brevi che non si traducono in misure alternative, come ha evidenziato il presidente di Antigone Patrizio Gonnella Al 30 aprile dei 56.674 presenti 7.925, il 13,9%, erano in attesa di primo giudizio, 3.629 (6,4%) gli appellanti e 2.458 (4,3%) i ricorrenti. I definitivi erano 41.628, il 73,4% dei presenti, e gli internati in case di lavoro o colonie agricole erano 282.
85 suicidi nel 2022
Dall’inizio dell’anno 23 detenuti si sono tolti la vita. Antigone ricorda come il 2022 sia stato l’anno più drammatico di sempre per quanto riguarda i suicidi in carcere:
si è raggiunta la cifra record di 85 , con una media di più di uno ogni 4 giorni. Un numero superiore di 23 volte rispetto ai suicidi tra la popolazione libera.
Cinque l’anno scorso sono avvenuti nel solo carcere di Foggia. Tra coloro che si sono tolti la vita, 5 erano donne, 36 invece gli stranieri, dei quali 20 senza fissa dimora, 40 anni l’età media. La maggior parte di queste persone (50, ossia quasi il 60%) si sono tolte la vita nei primi sei mesi di detenzione. Addirittura, 21 nei primi tre, 16 nei primi dieci giorni e 10 entro le prime 24 ore dall’arrivo in carcere.
Delle 85 persone morte per suicidio nel 2022, 28 avevano precedentemente messo in atto almeno un tentativo di suicidio (in 7 casi addirittura più di un tentativo). In 68 (pari all’80%) erano coinvolte in altri eventi critici. 24 di loro erano state sottoposte alla misura della “grande sorveglianza” e di queste 19 lo erano anche al momento del suicidio. Il rapporto richiama l’attenzione anche sul caso dei due detenuti morti il 25 aprile e il 9 maggio di quest’anno per sciopero della fame nel carcere di Augusta dopo 41 e 60 giorni di digiuno. E rivela che ogni giorno sono circa 30 i detenuti in sciopero della fame, in assoluto la più utilizzata delle forme di protesta in carcere, cui talvolta si aggiunge anche lo sciopero della terapia.
“E’ troppo poco il personale impegnato per intercettare quella disperazione” ha detto il presidente di Antigone Patrizio Gonnella a proposito dei suicidi, invitando a procedere all’assunzione di educatori, assistenti sociali, ma anche poliziotti e direttori.
27 milioni di risarcimenti
Oltre 27 milioni di euro. E’ quanto ha pagato l’anno scorso lo Stato per risarcire chi ha subito un’ingiusta detenzione.
Nel 2022 sono state presentate 1.180 domande di riparazione: quelle accolte sono state 556. La parte da leone la fa Reggio Calabria: 103 domande ammesse pari a oltre 10 milioni di euro, del totale che lo Stato nel 2022 ha pagato, ossia 27.378.085 euro. Sempre l’anno scorso sono state 4.514 le condanne pronunciate dai tribunali per condizioni di detenzione inumane e degradanti, tendenzialmente per assenza di spazio vitale. Corrispondono al 57,4% delle richieste di risarcimento pervenute. Evidente la disomogeneità del tasso di accoglimento tra i diversi uffici: si va da situazioni come Bologna (27,2%), Catanzaro (27,3%) o Roma (26,2%) ad altre come Brescia (82,3%), Potenza (80,6%) o Trento (83,6%).
Stranieri in calo
Gli stranieri in carcere sono 17.723, il 31,3% dei detenuti presenti e la loro presenza ha subito un calo di circa il 5% dal 2011 a oggi. Lo rivela il rapporto di Antigone che segnala però come siano forti le differenze tra regioni. L’unico istituto della Valle d’Aosta presenta una percentuale di popolazione detenuta straniera pari al 61,4% e il Trentino Alto Adige una percentuale pari al 61%. Altre regioni con presenze notevolmente elevate sono la Liguria (54%), il Veneto (50,1%), l’Emilia Romagna (48,1%), la Lombardia (46,2%) e il Friuli Venezia Giulia (41,9%). Mentre sotto la media si collocano la Calabria (21,2%), l’Abruzzo (17,6%), la Basilicata (15,4%), la Sicilia (14,4%) e la Campania (12,4%). In Sardegna i due istituti con più stranieri, segno di una politica di allontanamento dal continente e dai loro legami: la Casa di reclusione di Arbus “Is Arenas” (68,8%) e quella di Onani “Mamone” (71,1%). Seguono Cremona (68,03%), Piacenza “San Lazzaro” (64,71%), Alessandria “Cantiello e Gaeta” (64,5%), di Bolzano (64,2%), di Firenze “Sollicciano” (63,3%). Molti degli stranieri detenuti sono in attesa di giudizio: rappresentano il 33,7% delle persone in custodia cautelare e il 35% delle persone in attesa di processo. E di solito devono scontare pene brevi. Bassissimo il numero degli ergastolani stranieri (123 su 1.856, il 6,6%). Segno di una criminalità meno organizzata e autrice di delitti meno gravi. Marocco, Romania, Albania, Tunisia e Nigeria le nazionalità più rappresentate. In calo però rumeni ed albanesi.
Più di un condannato su due deve scontare meno di tre anni
Sono 1.856 gli ergastolani, dato aggiornato al 2022. Se il loro numero è leggermente cresciuto in termini assoluti, (erano 1.810 del 2021) sono però calati in termini percentuali, passando dal 4,8% al 4,6% . Eppure – fa notare il XIX rapporto di Antigone- diminuiscono verticalmente gli omicidi. Nel 2022 sono stati 314 , quasi sei volte di meno dei 1.916 che si erano registrati nel 1991. Tra la popolazione detenuta, 20.753 persone devono scontare meno di tre anni, ossia più di uno su due dei condannati presenti. “Il sistema delle misure alternative per loro non viene attivato. Se lo fosse avremmo risolto il problema del sovraffollamento”, nota Antigone. Circa 20 mila sono i detenuti che tra le imputazioni hanno la violazione della legge sulle droghe. “Un’altra politica sulle droghe impatterebbe sul sovraffollamento” è un’altra delle sottolineature contenute nel rapporto, che segnala anche l’aumento dei condannati a pene brevi dopo la pandemia (dal 3,1% dei definitivi del 2021 al 3,7% del 2022) pur se restano molti meno che nel passato. La maggior parte della popolazione detenuta si trova in carcere per delitti contro il patrimonio, con un totale di 32.050, subito seguiti da quelli contro la persona (24.402). Le persone detenute per reati contro la pubblica amministrazione sono 9.302, 9.068 invece sono in carcere per associazione di stampo mafioso. I detenuti al 41-bis sono 740, quasi il doppio che all’indomani delle stragi.
Nel 35% delle carceri visitate l’anno scorso da Antigone c’erano celle in cui non erano garantiti 3 mq calpestabili per ogni persona detenuta. Nel 12,4% c’erano celle in cui il riscaldamento non era funzionante. Nel 45,4% degli istituti vistati c’erano celle senza acqua calda e nel 56,7% celle senza doccia. A Fermo, Messina e Lecco mancano gli spazi per la scuola Nel 30% degli istituti visitati non c’erano spazi adeguati per le lavorazioni ed in 3 istituti (Fermo, Messina e Lecco) non c’erano nemmeno gli spazi per la scuola. Nel 25,8% degli istituti visitati non c’era un’area verde per colloqui nei mesi estivi.
Lavoro e formazione professionale
In carcere manca il lavoro e soprattutto quello qualificato. Lavora, a tempo parziale o ridotto, il 35,2% dei detenuti (19.817 in cifre), percentuale in cui vengono conteggiati anche coloro che, con turni a rotazione, sono impegnati poche ore al mese. Circa due detenuti su tre non hanno accesso ad alcuna forma di lavoro. La stragrande maggioranza, ovvero l’86,8%, lavora alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria, impegnata in piccole attività interne poco spendibili nel mondo lavorativo. Solo il 4,6% della popolazione detenuta lavora alle dipendenze di datori di lavoro esterni. Quasi inesistente la formazione professionale in carcere.
Riguarda il 4% dei detenuti. Responsabilità questa delle Regioni. In Abruzzo, Basilicata, Molise e Valle D’Aosta non è stato portato a termine alcun corso Nonostante sia fondamentale in vista della ricostruzione di un percorso di vita dopo il rilascio, la formazione professionale è quasi assente nel panorama penitenziario italiano.
Alla fine del 2022 i detenuti coinvolti in corsi di formazione professionale erano solo il 4% dei presenti. In Abruzzo, Basilicata, Molise e Valle D’Aosta non è stato portato a termine alcun corso, mentre altre hanno registrato risultati molto bassi (4 corsi in Toscana, uno in Puglia).