La Coalizione italiana per le libertà e i diritti civili (Cild) ha presentato lo scorso 15 ottobre nella Sala ‘Caduti di Nassirya’ del Senato della Repubblica, il suo primo rapporto sui Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). Nata nel 2014, Cild è una rete di organizzazioni della società civile che lavora per difendere e promuovere i diritti e le libertà di tutti, unendo attività di advocacy, campagne pubbliche e azione legale. Ai saluti istituzionali del senatore Gregorio De Falco e del presidente di Cild, Arturo Salerni, sono sono seguiti gli interventi dei curatori del rapporto, Federica Borlizzi e Gennaro Santoro. Il Garante nazionale delle persone private della libertà, Mauro Palma, è intervenuto a chiusura dei lavori. Nel rapporto, intitolato “Buchi neri. La detenzione senza reato nei Cpr”, sono riportati dati, statistiche, casi e storie che riguardano la detenzione amministrativa in Italia, raccolti anche attraverso la somministrazione di appositi questionari ai Garanti territoriali. In particolare, nel rapporto i curatori ringraziano Stefano Anastasìa, Garante della Regione Lazio, nonché Portavoce della Conferenza dei garanti territoriali, per la collaborazione prestata.
Particolare attenzione è data al trattenimento nei Cpr dei soggetti vulnerabili (compresi i minori) e alla tutela dei diritti fondamentali dei trattenuti (dal diritto alla salute, passando per il diritto di informazione e difesa, fino alla libertà di comunicazione). Inoltre, il rapporto effettuata un’analisi dei 10 Cpr attualmente attivi sul territorio nazionale, indagandone i costi, i soggetti privati che li gestiscono; lo stato delle strutture. Infine, si è tentato di ricostruire gli “eventi critici” verificatisi all’interno dei Cpr negli ultimi anni, dedicando – ad ultimo – un’appendice su come l’emergenza epidemiologica da Covid-19 sia stata affrontata all’interno di tali luoghi.
Il primo dato che emerge è che nell’ultimo triennio sono stati spesi circa 44 milioni di euro, prelevati dalla finanza pubblica ed attribuiti a soggetti privati per la gestione dei dieci Cpr, attualmente attivi sul territorio. Tra questi privati vi sono anche grandi multinazionali che, in tutta Europa, gestiscono Centri di trattenimento o servizi all’interno di istituti penitenziari.
Nel rapporto Cild, i curatori si sono lungamente soffermati sull’effettiva tutela dei diritti fondamentali dei trattenuti. Il rapporto evidenzia come i Cpr siano dei luoghi in cui molto spesso sembrano non rispettare neanche gli standard fissati dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura. Come dimostrano i casi, approfonditi nel rapporto, di locali di pernottamento di 20/24 mq in cui dovrebbero “alloggiare” fino a sette trattenuti o di servizi igienici privi di porte, anche quando i bagni sono “a vista” nelle stanze di pernotto.
I servizi sanitari sono affidati non al Servizio sanitario nazionale ma agli enti gestori dei centri ossia a privati, con l’evidente rischio di piegare l’intervento medico e farmacologico a necessità di disciplina e sicurezza delle strutture, come dimostrerebbe l’abuso di psicofarmaci e tranquillanti tra la popolazione trattenuta riscontrato nella maggior parte dei Cpr. Il rapporto di Cild parla di una situazione di vera e propria “extraterritorialità sanitaria” che porterebbe a continue violazioni dei diritti dei trattenuti: da certificati di idoneità al trattenimento di soggetti affetti da gravi patologie fisiche e psichiche, passando per la presenza delle forze dell’ordine durante le visite mediche, fino a illegittime prassi di isolamento in quelli che dovrebbero essere dei “locali di osservazione sanitaria”. Inoltre, provvedimenti di privazione della libertà personale attribuiti alla competenza della magistratura onoraria (Giudice di Pace) e, nel contempo, l’assenza di un controllo giurisdizionale sulle modalità della custodia. Ne deriva un diritto di informazione e difesa dei trattenuti, nei fatti, mortificato e violato.
Nel rapporto Cild si raccolgono testimonianze di operatori e avvocati che denunciano pericolose prassi illegittime: i rimpatri dei cittadini tunisini avvenuti dopo pochissimi giorni dall’arrivo nei Cpr, senza aver dato loro la possibilità di richiedere asilo; l’impossibilità per i trattenuti di contattare i propri legali di fiducia fino al giorno successivo all’udienza di convalida del trattenimento; la mancanza nel fascicolo dell’autorità giudiziaria dell’attestazione di idoneità alla vita in comunità ristretta, pur essendo quest’ultima una condizione ineludibile di validità della detenzione all’interno dei Centri; come udienze di convalida e di proroga che mediamente durano dai cinque ai dieci minuti, con provvedimenti dell’autorità giudiziaria che si riducono a formule di stile.
Il rapporto tenta, dunque, di ricostruire tutte le condizioni di eccezione provocate dal diritto che sorregge la detenzione amministrativa dei migranti nei Cpr.