Sono appena riprese le attività teatrali del progetto Port Royal nei penitenziari di Regina Coeli, Viterbo, Velletri, Rieti, Paliano e Latina. Port Royal è il nome di un luogo avventuroso nelle Antille nel diciassettesimo secolo, attraversato da pirati, bucanieri e corsari in cerca di una sorte migliore, ma anche il nome dei progetti dell’associazione culturale Artestudio, finanziati dalla Regione Lazio, direzione Affari istituzionali, area Politiche degli enti locali, a seguito di avviso pubblico, nel corso dei quali sono realizzati laboratori, workshop e performance teatrali. Port Royal è finalizzato ad assicurare, tramite la partecipazione diretta della popolazione detenuta, un’attività culturale stabile e continua – in presenza e all’occorrenza da remoto, come già sperimentato nel 2020 – nell’intento di contrastare il disagio e l’emarginazione sociale, migliorare la qualità della vita detentiva e favorire la crescita culturale. L’intero progetto prevede 70 incontri di circa due ore ciascuno, con la partecipazione diretta di circa 90 persone detenute e indiretta (performance e prove aperte) di un migliaio di persone detenute. Fino a novembre 2021 (con pausa ad agosto) a Regina Coeli è previsto un laboratorio teatrale con 30 incontri, comprese due performance. Negli altri cinque istituti interessati dal progetto sono previsti workshop di otto incontri ciascuno, compresa una prova aperta a tutta la popolazione detenuta, per un totale di 40 incontri.
Artestudio lavora nel sociale e nella cultura dal 1978 e in particolare nel carcere dal 1994. I professionisti impegnati nelle attività – Marco Paparella, Yasmin Karam, Maria Sandrelli, Caterina Galloni e il curatore del progetto Riccardo Vannuccini – sono esperti del settore, registi, attori, con comprovata esperienza nell’arte scenica che propongono il teatro come relazione con il gruppo, autostima, capacità di presentarsi di fronte agli altri, capacità di mettere in rapporto vari elementi nello stesso momento (soggetto/altro soggetto/situazione), capacità di sviluppare forme di autoanalisi e di autodisciplina.
“Il teatro – spiega Alba Maria Ungaro Bartoli della direzione organizzativa di Artestudio – può essere utile e necessario per aiutare la persona a essere presente, con responsabilità di fronte a se stessi e agli altri, in maniera conveniente nella società. Serve a mettere in prova il recupero di una propria ‘linea d’orizzonte’: la capacità di indirizzare la propria esistenza, ma poi ognuno è fabbro del suo destino. Il teatro non può salvare o maledire il detenuto, il teatro non è una religione o uno strumento della legge: è una pratica espressiva e di comprensione del mondo degli esseri umani. Teatro– conclude Ungaro Bartoli – dunque come esercizio artistico di dignità, rispettando la pena e il delitto”.