Dalla dirigente del Centro provinciale istruzione adulti (Cpia) 3 di Roma, Ada Maurizio, riceviamo e pubblichiamo.
Dal 22 maggio al 5 giugno gli studenti che frequentano l’ultimo anno delle superiori negli istituti penitenziari, per essere ammessi agli esami di Stato dovranno sostenere le prove nazionali Invalsi (Istituto nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione), come tutti gli studenti delle scuole di secondo grado. È bene ricordare che le prove non costituiscono parte dell’esame conclusivo e non ne condizionano i risultati.
L’obbligatorietà delle prove, prevista dal decreto legislativo n. 62/17, è stata estesa anche alla popolazione detenuta con alcuni adattamenti di tipo organizzativo a cominciare dal periodo di somministrazione che coincide con quello delle prove suppletive per tutte le scuole.
Nel mese di marzo una breve comunicazione dell’Invalsi ha improvvisamente informato della novità tutti i dirigenti scolastici degli istituti di secondo grado con corsi di secondo livello – terzo periodo (ultimo anno delle superiori), compresi quelli delle sedi carcerarie, rinviando a una nota successiva i chiarimenti circa le modalità di somministrazione, correzione e invio delle risposte. Le prove sono tre e avranno la stessa durata di tutte le altre scuole: 120 minuti per la prova di italiano, 120 minuti per la prova di matematica, 90 minuti per la prova di inglese (reading) e 60 per il listening.
Le prove saranno somministrate in formato cartaceo e non in formato elettronico (Cbt – computer based testing) come avviene per tutti gli altri studenti. Il personale del ministero dell’Istruzione e del merito (Mim) e quello del ministero della Giustizia si sono incontrati più volte con l’Invalsi per affrontare le numerose specificità che in questo caso presenta il contesto carcerario e per mettere a punto una nota congiunta con le indicazioni operative utili.
L’11 maggio 2023 è stata emanata una nota congiunta da parte dei due ministeri che fornisce specifiche indicazioni rispetto alla vasta e complessa casistica che riguarda la popolazione detenuta e in area penale esterna coinvolta.
Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) aveva già informato i provveditorati regionali e le direzioni degli istituti della importante e prossima scadenza, invitandoli a predisporre un dispositivo per consentire la somministrazione della prova di ascolto per la lingua inglese. Nella stessa nota si legge il richiamo al ruolo della Commissione didattica, l’organismo previsto dal regolamento del 2000, composto dal personale della scuola e da quello degli istituti penitenziari per la programmazione e la gestione dell’offerta formativa.
Le perplessità e le preoccupazioni dei dirigenti scolatici sono state rappresentate dalla Rete nazionale dell’istruzione degli adulti (Ridap) che comprende la quasi totalità dei Centri provinciali per l’istruzione degli adulti, per quest’anno non coinvolti ma allertati dalla nota Invalsi. La richiesta avanzata dai dirigenti scolastici era di sospendere la decisione e di dare il tempo ai docenti di impostare un lavoro didattico di preparazione ma il Mim e Invalsi hanno tirato dritto. È stato concesso, in casi eccezionali, di poter somministrare le prove fino al 16 giugno 2023.
Rimangono molte questioni aperte e il dubbio che i dati raccolti attraverso le prove non siano utili allo scopo per il quale sono nate, cioè quello di monitorare lo stato di salute del sistema scolastico e per migliorarlo laddove necessario. È davvero così per la scuola degli adulti, in particolare per quella in carcere?
Partiamo dalla considerazione che la standardizzazione degli apprendimenti stride con la personalizzazione dei percorsi di studio per gli adulti. In assenza dell’adattamento didattico delle prove alle specificità dei percorsi ordinamentali della scuola degli adulti, fuori e dentro il carcere, di una seria sperimentazione e di misure di accompagnamento che coinvolgano studenti e professori, ogni sforzo organizzativo per adattare la somministrazione delle prove, rischia di risultare vano.
Non dimentichiamo, inoltre, che si potrebbero presentare situazioni che impediscono agli studenti detenuti di sostenere tutte le prove, per esempio per trasferimento o per assenza dovuta ad altre priorità contingenti e non rinviabili (processo, colloqui con avvocati e familiari, lavoro).
Se è vero, come sostiene il presidente di Invalsi Roberto Ricci in un suo editoriale “che comprendere, ad esempio, le differenze che esistono nella popolazione scolastica aiuta a capire in quale direzione orientare gli investimenti – sia a livello didattico e formativo che a livello economico – rendendoli sempre più mirati alle esigenze della scuola nel suo complesso e di ogni singolo studente. Questo significa rendere concreti concetti alti come inclusione ed equità attraverso adeguate azioni di supporto, il cui effetto moltiplicatore non si esaurisce tra le mura scolastiche ma si riverbera sulla crescita integrale della persona”, ci si chiede se la scelta di somministrare le prove agli adulti e in modo particolare agli studenti detenuti, sia stata per lo meno frettolosa.
Lo sforzo organizzativo al quale sono chiamati scuole e istituti penitenziari potrebbe restituire dati di difficile lettura e davvero poco significativi, date le premesse. Senza sollevare vuote e sterili polemiche, tanto ormai la decisione è presa, forse varrebbe la pena spostare il discorso su temi di livello più tecnico, quindi pedagogico, didattico e trattamentale.
Ada Maurizio