“La prevenzione dei suicidi passa anche e soprattutto attraverso una adeguata formazione degli operatori di polizia penitenziaria che siano in grado di cogliere i segnali di un eventuale disagio”. E’ quanto ha dichiarato al quotidiano Il Messaggero il Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, Stefano Anastasìa, al termine della riunione del Tavolo tecnico congiunto per la sanità penitenziaria, convocato dalla direzione generale della Asl di Latina, che si è svolta martedì 26 marzo. “Ci sono anche difficoltà di comunicazione con i detenuti stranieri a causa della lingua- ha aggiunto Anastasìa – ed è per questo che appare necessario riattivare i servizi di mediazione linguistica che consentono di accorciare le distanze e dialogare”.
Nel corso della riunione si è parlato di problemi di carenza di personale di polizia penitenziaria e dei riflessi di tale carenza nella garanzia dell’assistenza sanitaria – sia in carcere che in ospedale – e dell’esigenza di formare gli operatori in vista della predisposizione del nuovo Piano di prevenzione del rischio suicidario. A sollecitare l’incontro era stato il Garante Anastasìa, a seguito del suicidio di un detenuto nel carcere di Latina che il 10 febbraio scorso si è tolto la vita impiccandosi nella sua cella. All’incontro hanno partecipato oltre allo stesso Anastasìa, il direttore generale facente funzioni della Asl Sergio Parrocchia, la direttrice della casa circondariale, Pia Paola Palmeri, il comandante della polizia penitenziaria, Giacomo Santucci, il responsabile medico Antonio Ciurleo, il responsabile delle attività educative di via Aspromonte Rodolfo Craia, e la dirigente del Dipartimento salute mentale, Anna Di Lelio.
Dal confronto è emerso come allo stato esista un buon livello di collaborazione tra azienda sanitaria e casa circondariale ma come la situazione generale sia caratterizzata da difficoltà che non hanno ancora trovato soluzione. E’ soprattutto il caso di quei detenuti che presentano problemi psichiatrici, che potrebbero quindi essere potenzialmente a rischio suicidio e il caso dei detenuti con gravi disturbi psichiatrici, che non dovrebbero stare in carcere, ma in strutture sanitarie mirate. In assenza di queste ultime si cerca di tamponare con la presa in cura da parte del servizio psichiatrico della Asl ma quelli che dovrebbero essere soggiorni brevi all’ospedale Santa Maria Goretti spesso non lo sono: è il caso di un detenuto ricoverato da oltre sei mesi per il quale comunque è necessario mantenere un servizio permanente di sorveglianza da parte della polizia penitenziaria sia in quanto detenuto sia per evitare rischi per gli altri degenti.
L’impegno assunto durante la riunione è comunque quello di procedere nel giro di qualche mese a rivedere il piano di prevenzione dei suicidi che risale al 2019, strumento fondamentale per verificare lo stato dei detenuti da un punto di vista psicologico. E’ inoltre in atto un aggiornamento del protocollo siglato dalla Asl con Procura e Tribunale finalizzato a individuare soluzioni alternative alla detenzione, ove ciò sia possibile, nei casi di persone che presentino disturbi mentali.