Martedì 25 luglio il Garante delle persone detenute della Regione Lazio, Stefano Anastasìa, è stato ascoltato dalla settima commissione consiliare permanente del Consiglio regionale del Lazio, Sanità, politiche sociali, integrazione sociosanitaria, welfare, presieduta da Alessia Savo (FdI), sullo stato dell’assistenza sanitaria negli istituti penitenziari del Lazio. Nel corso dell’audizione sono stati ascoltati anche i dirigenti delle Asl interessate e i consiglieri regionali presenti hanno preso atto della grave situazione in cui versano le strutture sanitarie a servizio della popolazione detenuta.
Anastasìa ha puntato il dito sulle tre criticità fondamentali, aggravate dal sovraffollamento che interessa la maggior parte degli istituti penitenziari del Lazio: l’inadeguatezza del nucleo traduzioni della polizia penitenziaria, preposto ad accompagnare i detenuti alle visite specialistiche all’esterno; la carenza di personale medico e paramedico all’interno degli istituti penitenziari; le gravi carenze nell’assistenza psichiatrica e la scarsità di percorsi alternativi al carcere sul territorio.
Prestazioni prenotate ma ineseguite
“Uno dei temi più rilevanti nei nostri istituti penitenziari è quello dell’accesso alla medicina specialistica e alla diagnostica che hanno necessità di fruire di servizi esterni”. Così ha esordito Anastasìa, sottolineando però che le difficoltà sono solo parzialmente ascrivibili al sistema sanitario, quindi alle Asl. “Quel tasso di prestazioni prenotate e inseguite – ha dichiarato Anastasìa a tale proposito – dipendono in gran parte dalla insufficienza di personale addetto ai servizi di traduzione della polizia penitenziaria, ovvero di accompagnamento delle persone detenute presso gli ambulatori e le strutture esterne. Su questo tema credo che sia necessario chiaramente avere una sede di confronto con l’amministrazione penitenziaria. Più che altrove, soffre la realtà romana, dove un solo nucleo traduzioni copre l’intera città di Roma, cioè il Polo di Regina Coeli e quello di Rebibbia, e sostanzialmente serve tremila dei seimila detenuti che abbiamo in regione”.
Per Anastasìa la sede giusta per tale confronto è l’osservatorio regionale sulla sanità penitenziaria, previsto dalla legge di riforma di trasferimento delle competenze della sanità penitenziaria al servizio sanitario nazionale, costituito presso la Regione: “Sarebbe utile – ha detto – la riconvocazione, come sede di confronto con l’amministrazione penitenziaria e per molti aspetti, anche rilevanti, con il Tribunale di sorveglianza e gli uffici giudiziari, che poi hanno competenze rilevanti riguardanti, ovviamente, la possibilità e l’autorizzazione delle persone detenute ad accedere anche a forme e misure alternative alla detenzione”.
Una delle questioni più rilevanti è quella del personale. “Abbiamo constatato che le Asl – ha detto Anastasìa a tale proposito – hanno difficoltà serie a garantire servizi essenziali dentro gli istituti, anche nella rete della medicina base, non solo in quella specialistica. Occorre una riflessione, per capire come si possa incentivare la presenza di personale, riconoscendo che la prestazione di servizio sanitario all’interno di un istituto di pena è obiettivamente la prestazione di un servizio in una sede disagiata e che quindi bisognerà trovare degli incentivi. Molti giovani medici o esercenti professioni sanitarie se possono scegliere se fare il medico o l’infermiere dentro un carcere o farlo sul territorio ovviamente scelgono di farlo sul territorio. Noi dobbiamo sapere che la scelta di lavorare in carcere, come alcuni dei presenti fanno da tantissimi anni, può diventare una vocazione ma in qualche modo deve essere incentivata”.
Assistenza psichiatrica e Rems
Anastasìa ha poi affrontato la questione, a suo avviso gravissima, dell’assistenza psichiatrica, sia sul versante dell’assistenza all’interno degli istituti penitenziari sia sul versante della questione annosa delle cosiddette liste d’attesa per l’accesso alle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems).
“Io credo si tratti di due questioni diverse – ha detto il Garante – ma che hanno una parte un comune molto importante che richiama le responsabilità programmatorie e di iniziativa della Regione. Il tratto comune è sul potenziamento dei servizi di salute mentale sul territorio, anche in termini residenziali, perché le maggiori difficoltà s’incontrano per fare uscire le persone dalle Rems. Seguono un percorso di trattamento significativo, ma poi spesso, per mille ragioni, non possono tornare a casa. Qualche volta non hanno casa, alcune volte la casa è il domicilio della vittima del loro reato. La gran parte delle persone che sono in Rems lo sono per maltrattamenti nei confronti di persone della propria famiglia. Allora serve una capacità di accoglienza sul territorio che purtroppo il nostro territorio non ha”.
Anastasìa ha evidenziato che lo stesso problema si riflette anche sull’assistenza psichiatrica in carcere, ricordando la sentenza della Corte costituzionale del 2019 che dice chiaramente che la salute mentale è equiparabile alla salute fisica: “laddove c’è una grave infermità mentale – ha sottolineato -, matura un’incompatibilità con la condizione di detenzione. Ciò significa che ci deve essere qualcosa fuori che deve poter accogliere la persona che ha problemi di salute mentale e questo qualcosa fuori ahinoi non c’è”.
“Le persone con problemi di salute mentale – ha proseguito Anastasìa -, che entrano in carcere e manifestano una patologia in carcere restano in carcere. Si dice spesso che la soluzione sarebbe attrezzare delle sezioni apposite dentro gli istituti di pena – e alcune ci sono anche nel nostro territorio – ma non è quella la soluzione, perché il rischio è quello di costruire diciamo così delle scatolette dentro gli scatoloni, con le difficoltà che per esempio in alcune realtà dove queste articolazioni di tutela e salute mentale sono state effettivamente attivate qui nel nostro territorio, vengono aggirate dal fatto che poi l’amministrazione penitenziaria trasferisce in quelle sedi tutti quelli che hanno problemi di salute mentale”. A tale proposito, Anastasìa ha ricordato che “a Velletri c’è un’articolazione tutela salute mentale con cinque posti detentivi e ne abbiamo già sette assegnati a Velletri, in attesa di entrare, già sapendo che nessuno di questi potrà entrare in quella articolazione tutela salute mentale prima del febbraio dell’anno prossimo”.
“Il problema – ha concluso Anastasìa – è capire se c’è un’effettiva incompatibilità con la condizione detentiva, come il sistema dei servizi di salute mentale sul territorio può farsi carico di incompatibilità con la condizione detentiva. Questo servirebbe sia per l’uscita dalle Rems di coloro che hanno concluso un percorso trattamentale significativo sia per le persone che sono in condizione detentiva ma non dovrebbero stare in carcere”.
La parola ai vertici delle Asl
Sono poi seguiti gli interventi dei rappresentanti dei vertici delle Asl. Giuseppe Quintavalle, commissario straordinario della Asl Roma 1, ha descritto il progetto di ristrutturazione in atto nella struttura sanitaria di Regina Coeli, con la riattivazione delle due sale operatorie e vari interventi di ammodernamento sia sui locali che su apparecchiature e arredi. Quintavalle ha confermato che c’è una carenza del personale sanitario. Alessandro De Iacobis, dirigente psicologo Asl Roma 3 ha parlato del Centro di prima accoglienza per i minori, una struttura “di transito” e della necessità di creare strutture di comunità per evitare ai ragazzi il carcere, quando è possibile.
In merito alla situazione degli istituti penitenziari di Civitavecchia, Cristina Matranga, direttrice generale della Asl Roma 4, ha parlato delle difficoltà per far accettare al personale la sede carcere e ad avere equipe stabili, ma anche riferito che è stato avviato il servizio di telemedicina e teleassistenza. Sovraffollamento e problemi di infrastrutture sono stati denunciati anche da Francesco Marchitelli, commissario straordinario della Asl Roma 6. Marchitelli ha dichiarato che il principale problema è l’assistenza psichiatrica, c’è una sola professionista, il bando che è stato fatto è andato deserto, e che serve una formazione specifica, e che si vogliono sperimentare tirocini infermieristici anche all’interno del carcere.
Anche per Livio Bernardini, dirigente medico della struttura penitenziaria di Rieti, il sovraffollamento, che aumenta il rischio di trasmissione delle malattie infettive e peggiora le condizioni igieniche, il problema della salute mentale sono tra i più gravi: non si trovano medici penitenziari, preferiscono andare a fare la guardia medica. Angelo Aliquò, direttore generale Asl Frosinone ha descritto la situazione nella provincia con carenza di personale, non solo sanitario ma anche di polizia penitenziaria, attrezzature radiologiche in stanze con infiltrazioni d’acqua e mancanza di condizionamento. Silvia Cavalli, direttrice generale della Asl di Latina, ha riferito che la parte sanitaria del carcere cittadino è molto vecchia e con spazi insufficienti, sono stati rinnovati arredi e tecnologia, ma vanno deserti i bandi per nuovo personale. Anche Simona Di Giovanni, direttrice amministrativa della Asl Viterbo ha riferito che gli avvisi per l’assunzione di nuovo personale sono andati deserti. Teleradiologia e telecardiologia sono già attive nel carcere di Viterbo, ma non è possibile implementare altri ambiti per problemi legati alla fibra ottica.
La presa d’atto della politica
A conclusione degli interventi, la consigliera Emanuela Droghei (Pd) ha evidenziato “la necessità di convocare una nuova commissione con la presenza della Giunta, del presidente Rocca, che ha la delega alla sanità, e dell’assessore ai Servizi sociali, Maselli, per provare a trovare soluzioni ai problemi. Da parte nostra visiteremo le altre carceri nelle province”. Secondo il consigliere Nazzareno Neri (Udc), “è emerso uno spaccato veramente importante”.
Luciano Crea (Lista Rocca) ha parlato, a nome della maggioranza, ringraziando il Garante e i dirigenti della Asl: “Questa segnalazione – ha dichiarato – noi rappresentanti della maggioranza la condividiamo in toto, perché ci ha dato la possibilità, oggi, di ascoltare, grazie a tutti gli interventi che sono stati ascoltati, quella che è la fotografia, purtroppo, di una situazione alquanto disastrosa: quella della medicina penitenziaria. Grazie a tutti i medici che operano nelle carceri, situazione più che disagiata. La Giunta sta già lavorando bene, è di pochi giorni fa la presentazione di un importante piano per l’edilizia sanitaria. Alla politica tutta non resta che rimboccarsi le maniche e lavorare per dare risposte concrete”.
Ha concluso i lavori la presidente della commissione, Savo: “Quanto oggi abbiamo condiviso in commissione – ha dichiarato – non è nato solo dalla richiesta di audizione di un gruppo, ma si tratta di un’esigenza sentita da tutti, dopo la presentazione della relazione sull’attività del garante. Stiamo programmando l’audizione con Rocca, più in generale sulle linee programmatiche e di lavoro. Anche sulla sanità nelle carceri è importante il confronto, è importante fare rete”.