di Stefano Anastasìa
Quasi falsa è la notizia che ieri ha dato l’Ansa e che oggi Avvenire ha riportato, la notizia di un nuovo suicidio a Regina Coeli. E’ falso che fosse avvenuto ieri, ma il fatto era vero: era la inconsapevole ripetizione di un caso effettivamente accaduto nel mese di marzo, come quasi sempre nella settima sezione dello storico istituto romano.
La settima sezione è nello stesso tempo una sezione di ingresso, di transito, disciplinare, di isolamento sanitario e chi più ne ha più ne metta. Per una ragione o per l’altra, quasi tutti i detenuti sono incompatibili con quasi tutti gli altri, e quindi sono costretti in cella tutto il giorno, salvo quell’oretta che riescono ad andare a turno in un cubicolo scoperto che chiamano aria, manco fossero al 41bis.
Ieri mattina ero lì per un sopralluogo in una stanza dedicata all’isolamento Covid: completamente priva di suppellettili, con una branda ancora parzialmente carbonizzata da un precedente incendio, la finestra che è stata forzata per poterla aprire, il bagno senza porta e così via. Solo ieri mattina, e solo sul lato destro della sezione, è partito il riscaldamento, dopo settimane di freddo che non può essere temperato neanche dall’acqua calda, che nelle stanze non c’è. Ci sono le coperte, certo, ma non sempre le consegne sono tempestive e più di un detenuto mi ha riferito di aver passato almeno una notte all’addiaccio, senza coperta, spesso senza lenzuola e senza cuscino. In settima sezione finanche il tavolo e le sedie sono un miraggio: i detenuti siedono e mangiano per terra o sul letto. Quelli più fortunati, che hanno avuto delle celle con armadietti in dotazione, li rimuovono e li mettono a terra, per sedersi, mangiare o giocare a carta con i coinquilini.
Il Consiglio comunale di Roma, incrociando anche il favore del ministro Nordio, vorrebbe che l’intero istituto di Regina Coeli fosse chiuso: progetto ambizioso, che richiede tempo e risorse (dove vanno a finire i circa mille detenuti che vi sono attualmente ospitati?). Nel frattempo a me basterebbe che fosse chiusa la settima sezione, o almeno drasticamente ridotta nelle presenze e nelle funzioni, così da garantire le quattro ore al giorno all’aperto previste dalla legge, e che le camere detentive siano normalmente dotate di riscaldamento, sedie, tavoli, coperte, lenzuola e cuscini, in attesa che ci arrivi l’acqua calda. E’ chiedere troppo per la dignità delle persone che vi sono costrette?