Da più di due anni circa settecento persone, formalmente ancora detenute, sommano una licenza straordinaria alla ordinaria semilibertà, non facendo rientro in carcere neanche per dormire. E’ questo l’effetto di una saggia misura anti-Covid che ha consentito di alleggerire le presenze in carcere, di mettere a disposizione camere detentive per la prevenzione della diffusione del virus e di evitare che il loro rientro notturno in carcere potesse essere esso stesso fonte di contagio per il resto della comunità penitenziaria.
Circa settecento persone che hanno un lavoro o un’attività esterna, sono seguite dal servizio sociale del ministero della Giustizia, hanno o si sono trovate un alloggio esterno. Settecento persone che il 31 dicembre potrebbero essere costrette a rientrare a dormire in carcere, essendo in scadenza quella normativa anti-Covid. Si dirà: ma se il Covid non giustifica più norme d’eccezione, perché queste persone non debbono tornare a scontare ordinariamente la loro pena, seppure in regime di semilibertà, e cioè uscendo al mattino per lavorare e passare la giornata con i familiari e rientrando alla sera a dormire in carcere? Perché sarebbe una misura ingiusta che non riconosce quel che è accaduto in questi due anni e passa: un lungo tempo in cui queste persone hanno vissuto con noi l’esperienza della pandemia, nelle condizioni in cui l’abbiamo vissuta noi, dando prova – nella stragrande maggioranza dei casi – di correttezza e affidabilità.
Come è possibile pensare che settecento persone (molte delle quali gravate da lunghe pene già scontate in gran parte in carcere, prima di accedere alla semilibertà), persone che hanno dato prova di poter vivere in libertà senza commettere reati e senza che siano state sollevate loro neanche infrazioni disciplinari, come è possibile pensare che queste persone a partire dal primo gennaio debbano tornare a dormire in carcere? Sarebbe una evidente regressione nel percorso di reinserimento sociale prescritto dalla Costituzione come finalità della pena e il disconoscimento dell’impegno e della serietà con cui ciascuna di quelle settecento persone ha risposto all’opportunità che è stata offerta loro.
E’ all’esame del Senato il cosiddetto “decreto anti-rave”, che contiene norme in materia di diritto penale, processuale penale e penitenziario, che regolamenta l’accesso ai benefici penitenziari per alcune categorie di detenuti (le norme sul cd. ergastolo ostativo) e sospende i termini per l’entrata in vigore della riforma Cartabia. Tra i suoi contenuti, certamente necessaria e urgente, avrebbe potuto esserci una nuova previsione di proroga della licenza straordinaria per i condannati e le condannate in semilibertà, se non una norma che sani una volta per tutte questa situazione. Nel testo del decreto-legge approvato dal Governo purtroppo questa o quell’altra norma non ci sono, ma il Parlamento può fare la sua parte, integrando il decreto come necessario.
La soluzione più saggia e più giusta sarebbe riconoscere una volta per tutte la correttezza di quelle donne e di quegli uomini in semilibertà, che per più di due anni hanno goduto di una licenza straordinaria senza mai fare rientro in carcere e senza mai infrangere regole fuori, e consentire loro di accedere per legge all’affidamento in prova al servizio sociale o alla liberazione condizionale, per arrivare così alla fine della pena senza tornare in carcere. Se invece al Parlamento dovesse mancare il coraggio di questa decisione giusta, non potrà sottrarsi alla necessità di disporre una nuova proroga della licenza straordinaria per il tempo che riterrà più congruo, sapendo fin d’ora che alla sua scadenza il problema si riproporrà ancora più gravemente.
*(Articolo pubblicato ne Il Riformista di martedì 6 dicembre con il titolo “Da oltre due anni vivono liberi e ora volete rimetterli in cella?)