Annunciato per la prima volta dal Ministro Nordio quasi un anno fa, quando nel carcere di Torino morirono due donne, una al termine di un lungo ed estenuante sciopero della fame, l’altra per un deliberato atto suicidario, il decreto-legge “in materia penitenziaria” e altro, varato mercoledì in Consiglio dei ministri, non affronta il problema del sovraffollamento e della tragica scia di suicidi che si porta dietro.
C’è voluto più di un anno a ripristinare la normativa anti-Covid che consentiva telefonate in deroga alle 4-5 al mese previste dall’ordinamento, che ora diventeranno ordinariamente sei. Un cambiamento quasi impercettibile, se non fosse per quella facoltà espressamente riconosciuta alle direzioni degli istituti di concederne altre per mantenere e rafforzare le relazioni familiari.
E dalle misure anti-Covid è ripresa anche l’idea di affidare alla Cassa delle ammende il finanziamento della collocazione in strutture di accoglienza delle persone indigenti e prive di un domicilio che possano accedere alle misure penali di comunità. Sarà istituito un albo di enti accreditati presso la direzione generale dell’esecuzione penale esterna che dovrebbe facilitare la decisione del giudice di consentire l’esecuzione penale esterna a persone senza reddito e dimora. Nulla che non fosse già ora possibile, come è stato possibile durante il Covid, ma evidentemente si spera che l’accreditamento da parte del Ministero della giustizia possa rassicurare i giudici sul buon esito della misura. Vedremo …
Nulla da dire sulle necessarie assunzioni di personale dirigenziale e di polizia, anche se si consente un’ulteriore riduzione della formazione iniziale degli agenti di polizia, che d’ora in poi potrà essere di soli quattro mesi. Pura propaganda, invece, il divieto di accesso ai programmi di giustizia riparativa per i detenuti in 41bis: evidentemente qualcuno al Ministero o in maggioranza non ha ancora capito in cosa consiste il regime speciale antimafia …
Insomma, qualche sciocchezza e qualche piccola cosa ragionevole, di segno molto diverso dal ddl sicurezza, apertamente illiberale e reazionario, in questi giorni in discussione alla Camera. Ma se questi sono i primi passi verso l’umanizzazione del carcere di cui ha parlato il Ministro Nordio in conferenza stampa, troppi sono quelli ancora da fare. Il problema di questo decreto, infatti, non è tanto quel che c’è, quanto quel che manca.
Sul punto fondamentale, che costituisce la ragione principale di necessità e urgenza di un decreto-legge sul carcere oggi, il sovraffollamento e le morti per disperazione, il provvedimento governativo non dice praticamente nulla, limitandosi a sollevare i magistrati di sorveglianza dalla valutazione periodica dei requisiti per il riconoscimento della liberazione anticipata, che viene posposta a fine pena, come di fatto già accade, con mille problemi per la ricostruzione del percorso detentivo di ogni singolo detenuto. Sì, certo, il condannato conoscerà sin dall’inizio della sua pena di quanto potrà essere ridotta in virtù della sua attiva partecipazione “all’opera di rieducazione”, ma comunque il magistrato di sorveglianza dovrà avvalorare quella premonizione e, se è difficile prevedere l’efficacia semplificatoria della nuova procedura, certo neanche un giorno in meno di pena ne verrà ai detenuti.
Perché il punto è esattamente questo: questo non è un decreto “svuotacarceri”, come si affannano a ripetere fieramente tutti gli esponenti della maggioranza, mentre quello che servirebbe è esattamente svuotare le carceri: dei condannati a pene ridicole, che impediscono qualsiasi trattamento penitenziario che non sia la mera custodia, e dei condannati a fine pena, che potrebbero essere accompagnati in un reinserimento sociale anticipato. Erano 15.849 i detenuti con un residuo pena inferiore a due anni al 31 dicembre dello scorso anno (tra qualche giorno sapremo il dato più recente), mentre i detenuti in eccesso sui posti regolamentari effettivamente disponibili al 30 giugno di quest’anno erano 13.902. Con un provvedimento di amnistia e di indulto di soli due anni (per reati puniti con una pena massima di due anni e per condannati con un residuo pena inferiore a due anni), come d’incanto non ci sarebbe più sovraffollamento, il personale sarebbe in grado di gestire gli istituti penitenziari senza gli affanni di oggi e il governo potrebbe persino mettere in opera le sue idee di riforma del sistema penitenziario, quali che esse siano. Così, invece, i detenuti vivono in condizioni indegne, il personale non riesce a seguirli, e le frustrazioni degli uni e degli altri si manifestano nella rabbia e nella disperazione della violenza contro gli altri e contro se stessi.
La prossima settimana, alla Camera, arriva in votazione l’aumento dello sconto di pena per buona condotta proposto dall’on. Giachetti: sarà il primo banco di prova, se non di un ulteriore piccolo passo in direzione della umanizzazione del carcere, almeno della comprensione di quale sia il problema e l’urgenza di fronte a cui siamo.
*Articolo pubblicato su L’Unità di venerdì 5 luglio 2024 con il titolo “E questo sarebbe un decreto per umanizzare il carcere?”.